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"videogame"
Che l’epoca in cui tutti ci ritroviamo a dover vivere fosse la più informatizzata è un dato di fatto. Che la nuova generazione fosse quella che vive più a stretto contatto e mediante oggetti tecnologici anche. Posto questo come assioma inconfutabile diventa però lecito porci delle domande. Ad esempio sarebbe interessante ipotizzare quali cambiamenti funzionali potrebbe apportare, questa costante esposizione, al nostro organo del pensiero, oppure quali mutazioni morfologiche potrebbero subire le nostre mani. Ma dal momento che questo vorrebbe dire parlare di fantasia ritorniamo al presente ed  analizziamo la situazione attuale, perché conseguenze e cambiamenti sono già avvenuti. Si sente spesso parlare di dipendenze, da alcol, droghe, cibo e tv, ma come se non bastasse, nella costante escalation all’autodistruzione, si aggiunge la voce dipendenza da videogame.
Non è una novità che l’essere umano sviluppi ossessioni e dipendenze, ma che questo avvenga per mezzo di ciò che più al mondo dovrebbe far divertire è davvero un paradosso. Morire giocando ed a causa dell’eccessivo divertimento si può, anzi è già successo, basti pensare ai giocatori, per lo più asiatici, deceduti  dopo esser stati per giorni e giorni immersi in mondi virtuali, ignorando bisogni fisiologici e di qualunque altra sorta. Ma senza arrivare a casi così estremi, dove la dissociazione dalla realtà dell’individuo è più che evidente (chissà se nell’aldilà la loro pena sarà giocare per l’eternità!), non è detto che non si possano sviluppare forme di dipendenza più blande ma non per questo trascurabili. Infatti è notizia del 2006 che ad Amsterdam (non a caso) apre la prima clinica per disintossicare tutti quei fanatici, vittime nonché dipendenti da videogame. La clinica, gestita dalla Smith & Jones (una società olandese di consulenza sulle dipendenze attiva dal 1991), prevede terapie di disintossicazione della durata di 2 mesi. I pazienti della clinica dovranno “sopravvivere” per otto settimane nei boschi fra Olanda e Germania, lontani dalla tecnologia, dai joypad e dai videogiochi, ma soprattutto dalla realtà virtuale nella quale sono ormai immersi.
Perciò si può parlare di dipendenza quando il soggetto stabilisce un rapporto di "game-addict"“subordinazione” con l’attività in questione che si rende così necessaria al fine del “benessere” del dipendente. Restando in abito abbastanza generico cerchiamo di capire chi è il soggetto predisposto a sviluppare questa forma di dipendenza: per lo più si tratta di uomini, dai 16 ai 30 anni, con difficoltà relazionali, annoiati o insoddisfatti della loro situazione lavorativa o familiare in cerca di una “fuga” nella realtà virtuale, capace di provocare stimoli maggiori che consentono una facile identificazione con gli eroi dei videogame. Il vero problema è che questa come qualunque altra dipendenza va a compromettere la sfera sociale e privata dell’individuo, a causa delle ingenti quantità di tempo sprecate, che man mano aumentano affinché il livello di soddisfazione rimanga sempre lo stesso. Di contro l’astinenza provoca sintomi psico-fisici come agitazione, nervosismo, disturbi del sonno e della concentrazione. Le conseguenze che vengono a manifestarsi  riguardano maggiormente: l’ambito scolastico, con scarso apprendimento e nonché tempo dedicato allo studio; la compromissione dei rapporti sociali, il dipendente tende ad isolarsi e a litigare con i componenti familiari pur di giocare costantemente cosa che provoca un progressivo distaccamento dalla realtà; la salute, il soggetto sviluppa forme di obesità da sedentarietà ma anche disturbi dell’alimentazione e dell’umore; problemi legati all’astinenza dal gioco, quali pensieri ossessivi, aggressività e ansia. Inoltre non è inusuale ravvisare in ragazzi affetti da questa forma di dipendenza una propensione al commettere gesti violenti,  di bullismo e di falsificazione della verità.
Ognuno di noi penserà immediatamente che questi sono casi eccezionali, che si deve essere un bel po’ “strani” per sviluppare tale patologia, perché tale è. Ma in realtà forme di dipendenza di ogni genere trovano terreno fertile negli animi delle persone più deboli, con scarsa autostima e che rifiutano la realtà in cui sono costretti a vivere. Realtà che molto spesso nel caso degli adolescenti sono famiglie problematiche o dove i genitori prestano molta poca attenzione ai propri figli, che parcheggiati lì diventano a malapena tollerabili. Viene quindi spontaneo domandarsi se molto spesso la causa dei mali dei figli non siano proprio i loro genitori.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.