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Un febbraio di grandi classici al Nuovo Teatro Verdi di Brindisi. Dopo il «Cyrano de Bergerac» con Alessandro Preziosi e «L’opera da tre soldi» di Brecht e Weill con Massimo Ranieri, e in attesa dei «Promessi sposi alla prova» di Testori della compagnia Sandro Lombardi (in arrivo il 22 e 23 febbraio), è il momento dell’«Avaro» di Molière in un nuovo allestimento del teatro Stabile delle Marche e del Teatro Stabile di Napoli.
Lo spettacolo, diretto e interpretato da Arturo Cirillo, va in scena giovedì 16 e venerdì 17 febbraio alle ore 20.30, e si presenta in una veste attuale e cinematografica che ricorda nei costumi e nel trucco il «Parnassus» di Terry Gilliam, mentre per le atmosfere è debitore nei confronti di David Lynch. Insomma, un eccellente esempio di teatro di regia di respiro europeo, da gustarsi dall’inizio alla fine.
Figura di spicco della nuova scena teatrale italiana, Cirillo carica di humour nero il grande classico del drammaturgo francese restituendo al pubblico un Arpagone arcigno e avido, chiuso in una tragica maschera all’interno di una pièce ironica e graffiante, arricchita dai sontuosi costumi di Gianluca Falaschi e dalla scena potentemente evocativa di Dario Gessati.
Arpagone vive in una casa forziere, all’interno della quale vive incalzato dalle trame ordite dai figli e dalla servitù. Ma l’uomo non intende mollare un centesimo del proprio danaro, che custodisce avidamente dentro una cassetta. «Ma se Arpagone è l’avaro, gli altri cosa sono?» si chiede Cirillo. Arpagone ha tre figli: Cleante, Elisa e la cassetta, ma solo l’ultima è stata “partorita” da lui stesso. Gli altri sono figli di una madre morta che gli hanno sottratto giovinezza e amore, prima ancora del denaro. Mentre Mariana, la ragazza che si fa comprare, è forse l’ultimo anelito di vitalità, la battaglia finale per dare scacco matto al mondo e alle leggi della natura, pornografia senile.
Circondato da un cast particolarmente affiatato, formato da Michelangelo Dalisi, Monica Piseddu, Luciano Saltarelli, Antonella Romano, Salvatore Caruso, Sabrina Scuccimarra, Vincenzo Nemolato e Rosario Giglio, Cirillo firma un «Avaro» sorprendente, perché, come ha scritto Nicola Viesti su Hystrio, «sembra che faccia di Arpagone una specie di fratello dello Jago visto nel suo precedente “Otello”. Quasi un emblema di qualcosa di assoluto – forse del male – di cui ignoriamo l’origine e di cui non riusciamo a comprendere il fine». In questo modo l’opera di Molière porta con sé un messaggio di grande attualità, pur essendo stata scritta nel Seicento. Perché l’uomo moderno, affannosamente impegnato nella ricerca di una solidità economica (tema quanto mai corrente), troppo spesso dimentica di trovare il tempo per curare le sue vere ricchezze, che sono poi le relazioni umane. E così, ritrovatosi solo, finisce per non apprezzare più i colori della vita, come Argapone lascia chiaramente trasparire dal suo abbigliamento, visto che è l’unico in scena a indossare un abito completamente nero.
Fondazione Nuovo Teatro Verdi
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