Tempo di lettura: 2 minuti
Il primo ad immaginare un suo museo è stato Andrè Malraux, ministro degli affari culturali del generale De Gaulle nel secondo dopoguerra: in un libro famoso, dal titolo "Le museè immaginairè" sostenne che «la caratteristica della modernità consistesse nella genesi di una conoscenza sincretica dove le epoche entravano tutte in confronto». Proprio partendo da questo concetto – che il tempo appena trascorso ha confermato, dice l’autore – anche Daverio, professore a Palermo e Milano e grande divulgatore d’arte, ha immaginato il suo. Con un’avvertenza: quello proposto nelle pagine del suo libro non è che «il risultato del momento contingente che sto vivendo». E siccome non è necessario essere un esperto, Daverio invita i lettori ad immaginare il loro museo. «Ognuno di noi – scrive – possiede nelle stratificazioni del cervello e dell’anima un suo museo ideale...».
Con un’altra premessa: l’argomento trattato nel libro non è la pittura ma i uadri. "L’argomento che trattiamo – osserva – è quindi molto più ridotto, ma lo è addirittura nel campo dove la pittura è da considerarsi solo artistica, quello che spazia dagli affreschi alle miniature dei codici, dai disegni agli arazzi ai polittici a fondo oro, dagli acquarelli alle varie tecniche dell’incisione". Regola di base per costruire un buon museo – e Daverio immagina anche il contenitore, ovvero una spettacolare costruzione architettonica – è la capacità di "capire" i quadri: per farlo bisogna introiettare una norma: guardarlo a lungo. Non si può capire un dipinto prestando un’attenzione non superiore ai venti secondi. La riprova? l’autore suggerisce di cominciare prendendo dal web una riproduzione dei "Coniugi Arnolfini" di Jan Van Eyck. Dal generale, occorre concentrarsi sul particolare: «vedete la collana di vetro appesa al muro, rimarrete stupiti dalla abile riproduzione della luce nell’ombra che lascia sul muro, vedrete quanto questo muro è screpolato, come un dipinto dell’Ottocento». Poi, dopo le arance sul davanzale, sarà la volta degli zoccoli di legno del padrone di casa, «con le stringhette di cuoio invecchiato». E ancora: «le scarpette riposte di lei, vicino al tappeto d’Oriente, su di un pavimento di legno inchiodato che sentirete con la punta della vostre dita». «E – aggiunge – ricordatevi che è del 1432, e che tutto ciò ossessiona anche oggi la pittura del reale». Ora, conclude Daverio, si è pronti per costruirsi il proprio museo.
Philippe Daverio: "Il museo immaginato" (Rizzoli; pp.351; 35 euro)