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- 1. Da quando, piú di 2 (forse 2,8) milioni di anni fa è comparsa la specie ‘uomo’ la storia del nostro pianeta è stata costantemente e progressivamente caratterizzata dalla centralità assorbente ed assolutizzante dell’uomo.
L’antropocentrismo è stato inarrestabile ed ha comportato la riconduzione all’uomo ed ai concetti costruiti intorno a lui di ogni visione e costruzione di idee e di concetti.
Nel diritto, soprattutto nell’Occidente, a tutto ciò è corrisposta l’elaborazione del concetto di persona.
Esso è stato una felice intuizione e costruzione della giurisprudenza romana ed ha conosciuto fasi molteplici e complesse.
Durante tutta l’esperienza romana il termine persona fu utilizzato per indicare la condizione giuridica dell’uomo (che poteva essere sia libero sia schiavo e godere o meno della pienezza dei diritti o dipendere da altri – ad esempio dal paterfamilias) ed era la ragione e lo scopo di tutto il diritto[1].
Muovendo da questi presupposti, che riferivano tutta l’esperienza giuridica all’uomo-persona, i Romani indicarono come quasi-uomo anche le associazioni, per le quali parlarono di corpus habere, per indicare che si era di fronte a una struttura riconducibile al modello unico e inderogabile dell’uomo (per l’appunto dotato di corpo).
Di lí partí un processo complesso ed inarrestabile in virtú del quale le ‘organizzazioni’ venivano indicate come “corpi morali” (con ciò sottintendendo, implicitamente, che le creature di Dio sono banali corpi fisici).
Esso fu inarrestabile e dilagante, tanto che per tutto l’Ottocento si fece ricorso a quella terminologia e di corporation parlano tuttora gli Americani.
Ne risultò configurata ed articolata la ‘persona giuridica’.
Essa costituí uno snaturamento dell’originario concetto persona – homo, però corrispondeva alla visione ‘antropocentrica’ che nell’area del Mediterraneo[2] e del cosiddetto Occidente, dall’antichità ad oggi ha connotato e ancora sorregge la visione del mondo.
In un certo senso la riconduzione, che per tal via si operava, di ogni realtà o entità che avesse una qualche rilevanza giuridica è frutto della superbia umana e della sua incapacità di ammettere che l’esperienza e con essa l’esperienza giuridica non è tutta riconducibile all’uomo[3].
- 2. C’è voluta la critica radicale dell’illuminismo per arrivare alla consapevolezza che le associazioni/corporazioni costituivano sí persone, ma persone giuridiche frutto diretto della legge; in quanto tali non sono altro che “soggetti artificiali, creati dal legislatore”[4].
In precedenza vi era stata la consapevolizzazione che l’accostamento tra associazioni e persona era quanto meno inappropriato. Per citare alcune posizioni avvertite e critiche, basti ricordare che papa Innocenzo IV invitò a distinguere tra persona-uomo e persona ficta. Il sommo (tanto che si diceva: nemo iuristus nisi bartolista) Bartolo da Sassoferrato precisò che la persona giuridica vere et propria non est persona e Baldo degli Ubaldi giustificò l’uso del termine persona, indicativo dell’uomo, anche per le associazioni per il fatto che erano sempre gli uomini ad agire non uti singuli, bensí uti universi.
Nell’età contemporanea la critica alla ‘persona giuridica’ è diventata animata e variegata: dal von Gierke che parlò di “viventi unità sociali” ad autori come Kelse ed Ascarelli, i quali puntualizzarono che ‘persone’ sono soltanto gli esseri nati da “ventre di donna”; mentre la giurisprudenza ha chiarito che le persone giuridiche sono persone “solo in senso traslato”[5].
Riepilogando, nell’ottica antropocentrica tutto viene riportato all’uomo e poiché questi è designato come persona in tutta l’esperienza giuridica[6], ancorché con forti esitazioni, ogni realtà dotata di rilevanza giuridica fu inglobata nel termine e nella categoria di persona – persona giuridica.
Le perplessità e gli interrogativi suscitati da ciò oggi mi sembrano ancora più incisivi e rilevanti; tanto da suscitare in me una domanda: è ancora opportuno e corrispondente alla realtà parlare, nell’esperienza giuridica, di persona? Non rischia di essere fuorviante?
Persona incarna la visione antropocentrica, ma si presta anche a soluzioni che vanno contro o ignorano l’uomo. Infatti talora ha un significato valoriale ed è stato ed è adoperato per indicare l’uomo e le sue istanze fondamentali, da tutelare. Talaltro, specialmente coniugato con il concetto di personalità è stato ed è strumento di discriminazione, attraverso il quale il riconoscimento e la protezione giuridica è accordata ad alcuni (gli uomini cui, per l’appunto, è riconosciuta la personalità) e negata ad altri (gli uomini cui la personalità è negata o non ancora accordata) e fa dipendere l’uomo non dal suo essere, bensí da un atto autoritario: quello dell’ordinamento che conceda o meno la personalità. Infine attraverso la strumentalizzazione della personalità giuridica si è dato e si dà rilievo ed incidenza a forme di aggregazione sia di uomini sia di risorse che in realtà non hanno nulla di ‘umano’ e costituiscono strumenti di soggiogamento degli uomini e di deformanti forme di prevalenza dell’interesse economico (spesso egoistico) a scapito degli uomini. Funzionale a ciò è poi la coniugazione del tutto con i concetti di capacità (giuridica[7] e di agire[8]) e di soggettività.
- 3. Al riguardo potrebbe costituire elemento di chiarezza tornare all’origine e verificare l’operatività di persona partendo da là dove è nata: il diritto romano.
In esso riscontriamo l’assenza di qualsiasi traccia delle categorie concernenti la personalità giuridica ed i diritti soggettivi. Ritengo invero fonte di equivoci l’esame della realtà romana alla luce, ad esempio, della capacità giuridica o della capacità di agire, come però spesso avviene, da parte dei romanisti, i quali, pur evidenziando l’inesistenza di quei concetti presso i romani, tuttavia li ritengono utili a capire il diritto romano, perché comunque utili a cogliere la realtà giuridica romana, nella quale essi mostrerebbero concreta operatività[9].
Lo stesso vale per il concetto di soggetto di diritto[10], usato per indicare chi abbia la capacità giuridica e spesso divenuto sinonimo di persona[11], di modo che la soggettività è ritenuta diritto inviolabile[12], mentre, in realtà, è nient’altro che strumento per il controllo ed il condizionamento degli uomini[13].
Ma il nodo risiede proprio qui. La configurabilità di un diritto soggettivo, al quale farebbe da contraltare il diritto oggettivo, sebbene diffusa e corrispondente all’aspirazione a dare risalto agli uomini, non è giustificata e non è applicabile al diritto romano[14], nel quale, malgrado la favorevole accoglienza da parte di molti romanisti[15], la distinzione (che porta ad indicare un soggetto ed un oggetto del diritto) non trova nessun fondamento[16].
Personalmente ritengo che occorra affermare con forza che l’uomo è un prius rispetto allo Stato e/o alle unioni di Stati e che in qualsiasi momento debba poter esercitare il proprio diritto a far valere questa sua priorità, dissociandosi dallo Stato. Aggiungendo che in tale priorità non può restare lui solo l’epicentro del ‘sistema’ e del diritto, perché deve tener conto dell’altra priorità, talora sovraordinata anche ai suoi bisogni, costituita dall’Ambiente e, secondo alcuni, dal diritto delle generazioni future.
In proposito, riconsidererei le performanti visioni già espresse da Cicerone, il quale proclamò l’esistenza di tre condizioni (status) degli uomini: quella individuale, quella della famiglia e quella della società. Ognuna autonoma e sia storicamente che ontologicamente in successione cronologica, disposte come sfere intersecantesi tra loro ma senza che l’una sopprima o limiti l’altra[17].
Di conseguenza, al centro poi va ricollocato l’uomo, inteso come uomo storico e non come ‘valore’ deciso da una autorità, che sia quella religiosa o quella statale.
Questo oggi si scontra con ostacoli giganteschi, tra i quali due mi paiono basilari: quello della cittadinanza e quello della personalità giuridica, che pongono l’uomo alla mercé del ‘potere’ (per lo piú statuale): rispetto ad essi va, invece, affermato e recuperato il concetto dell’uomo, senza possibilità di interferenza degli Stati.
- 4. Siffatte considerazioni implicano di prendere coscienza dei fraintendimenti e persino delle storture talora determinate dall’uso di persona e dei suoi corollari (persona giuridica, soggettività giuridica) e mostrano l’inadeguatezza delle strutturazioni circolanti; frutto di un malinteso ‘antropocentrismo’ sul quale è necessario interrogarci[18].
Oggi la domanda in proposito appare ineludibile alla luce dei cambiamenti sia tecnologici sia di prospettive.
Invero da un lato abbiamo l’irruzione pressoché inarrestabile delle Intelligenze Artificiali e dall’altro la questione ambientale, la quale diventa sempre piú centrale e non eludibile o classificabile con le categorie pregresse legate al termine persona: entrambe richiedono un nuovo assetto anche per quanto concerne il diritto e le sue classificazioni.
Ictu oculi esse appartengono a quei tempi ed avvenimenti che sono cruciali nella Storia e appaiono in grado di cambiarne il suo corso o, quanto meno, di imprimerle un cammino prima neanche immaginabile[19].
Ora, dopo che da tempo si è parlato della nascita della società postindustriale, per unanime riconoscimento siamo in parte dentro in gran parte alle soglie di una rivoluzione che concerne ogni aspetto della vita sociale e, forse, della visione della vita stessa: l’avvento e la sempre piú permeante ed inarrestabile presenza delle intelligenze artificiali e/o robots, come piú comunemente in via generica si suole indicare il fenomeno. Può addirittura affermarsi che forse di tutti gli eventi succedutisi nella storia dell’umanità il futuro prefigurato dall’intelligenza artificiale è il piú sconvolgente e, per certi versi, quello destinato a mettere a soqquadro e cambiare la percezione del mondo: esso, infatti, può porre fine all’antropocentrismo che, con varie accezioni, ha finora caratterizzato ogni costruzione filosofica e giuridica.
Come rispondere ed affrontare il ‘cambiamento’ che ne deriva e ancora piú ne deriverà?
Riguardo al diritto occorre innanzitutto avvertire la radicalità del cambiamento per poi ridisegnare il quadro di riferimento, procedendo non con costruzioni o categorie generali e precostituite, bensí con aderenza alla realtà profondamente cangiante e cambiata, cioè all’esperienza giuridica[20]¸ che altro non è se non la ‘vita’[21]. Essa finora è stata intesa e rivendicata sempre come esperienza umana con protagonisti gli uomini di là dagli apparati e dagli Stati[22]; invece potrebbe non bastare.
Oggi piú che mai va riaffermata corrispondenza del diritto all’esperienza, perché occorre anche fare i conti con i nuovi e finora inimmaginabili cambiamenti, i quali, rimodellano l’esperienza ed esigono di adeguare il diritto anche ad essi. Il che comporta la necessità di rendersi conto che la nozione stessa di esperienza è mutata e che essa non risiede piú esclusivamente nell’esperienza umana: forse, per la prima volta, gli uomini non sono tutta la realtà[23], dal momento che la vita potrebbe non articolarsi piú esclusivamente intorno a loro[24].
Per la prima volta stiamo per assistere ad una realtà che andrà oltre l’uomo[25], verosimilmente inserendosi nella complessità di quello che qualcuno ha chiamato transumanesimo[26].
Stiamo assistendo o stiamo per assistere ad un grado di autonomia delle IA che risiederà nella capacità di prendere decisioni e metterle in atto nel mondo esterno, indipendentemente da un controllo o un’influenza esterna (quindi umana); tale autonomia è di natura puramente tecnologica e il suo livello dipende dal grado di complessità con cui è stata progettata l’interazione di una IA e/o robot con l’ambiente. Ne consegue che ovviamente più le IA e/o robots sono autonomi, meno possono essere considerati come meri strumenti nelle mani di altri attori (quali il fabbricante, il proprietario, l’utilizzatore, ecc.). Ciò, a sua volta, rende insufficienti le regole ordinarie, particolarmente in materia di responsabilità, e richiede necessarie nuove regole incentrate sul come una macchina possa essere considerata – parzialmente o interamente – responsabile per le proprie azioni o omissioni.
Appare, pertanto, sempre più urgente affrontare la questione fondamentale della rilevanza giuridica dei robots e delle intelligenze artificiali.
La quale richiede un ripensamento del diritto e delle sue nozioni, a partire dal nocciolo sul quale dal diritto romano ad oggi sono stati elaborati il diritto e la scienza giuridica, vale a dire quello di persona: esso potrebbe essere non adeguato alla nuova realtà, andando oltre i primi tentativi di inquadrare e definire il ‘nuovo’ originato dalle intelligenze artificiali attraverso una configurazione imperniata su persona e soggettività giuridica e, quindi, l’estensione di tali categorie anche ai robots ed alle intelligenze artificiali.
Ma proprio l’utilizzo delle categorie sorte e forgiate in una realtà esclusivamente umana può quanto meno essere oggetto di analisi. Sembra, infatti, quanto meno opportuno sulla congruità dell’utilizzo delle categorie della personalità, senza verificare attentamente se effettivamente i robots e le IA possano in qualche modo rientrare nelle configurazioni giuridiche della persona e/o della soggettività; oppure se la loro presenza richieda la elaborazione di nuove configurazioni giuridiche.
A ciò bisogna accingersi subito, perché diventa via via piú impellente man mano che si si assume consapevolezza che oggi i robots e, ancor piú, le sono grado di svolgere attività che tradizionalmente erano tipicamente ed esclusivamente umane, in conseguenza dello sviluppo, da parte loro, di caratteristiche autonome e cognitive (implicanti, ad esempio, la capacità di apprendere dall’esperienza e di prendere decisioni indipendenti). Esse, specialmente in prospettiva e già oggi, li stanno facendo apparire sempre più simili agli uomini, consentendo loro di interagire autonomamente con l’ambiente circostante e di modificarlo, anche in misura rilevante. Ci si rende conto che se al momento i robots, per lo piú, sono esecutori materiali di ordini dell’uomo, in seguito ai notevoli progressi dell’intelligenza artificiale, presto potranno essere in grado di avere una propria autonomia decisionale e di potere discernere tra il bene ed il male (ovviamente secondo propri punti di vista).
Del problema si è fatto carico il parlamento europeo già nel 2017, attraverso la Risoluzione del 16 febbraio 2017 (2015/2103), contenente anche una raccomandazione per la commissione sulle norme civili in tema di robotsica (European Civil Law Rules in robotics)[27].
La raccomandazione affronta in chiave prospettica ed a tutto campo quelle che, dal Parlamento Europeo, sono ritenute essere le nuove sfide e le criticità per il diritto civile poste dall’articolazione e dallo sviluppo delle nuove tecnologie e in particolare da quelle sollevate dai robots e dalle intelligenze artificiali. Ne è scaturito un documento di ventidue pagine, le quali, partendo da scenari di fantascienza (in particolare da quelli prefigurati da Asimov), suggeriscono possibili tecniche di regolamentazione, che tengano conto del bilanciamento tra l’interesse all’innovazione e al progresso tecnologico e altri interessi che da tale progresso potrebbero essere lesi o comunque investiti.
La raccomandazione, alla quale è aggiunta in appendice una Carta sulla robotica (Charter on robotics), parte da una serie di premesse (introdotte dalla parola considerando), dalle quali dovrebbero scaturire i princípi sia etici sia giuridici, che si auspicano possano ispirare sia l’impiego sia la progettazione e la realizzazione di robots e intelligenze artificiali[28].
Il Parlamento Europeo “sottolinea che il quadro etico di orientamento dovrebbe essere basato sui princípi di beneficenza, non maleficenza, autonomia e giustizia, nonché sui princípi sanciti all’articolo 2 del trattato sull’Unione europea e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – quali la dignità umana, l’uguaglianza, la giustizia e l’equità, la non discriminazione, il consenso informato, la vita privata e familiare e la protezione dei dati, cosí come sugli altri princípi e valori alla base del diritto dell’Unione come la non stigmatizzazione, la trasparenza, l’autonomia, la responsabilità individuale e sociale – e sulle pratiche e i codici etici esistenti”.
La Risoluzione delinea un quadro ampio ed articolato, dettato dalla consapevolezza di essere dinanzi ad una “ nuova rivoluzione industriale … in grado di trasformare le abitudini di vita”, e dalla necessità di assumere consapevolezza del fatto che, per la prima volta nella storia, potremmo essere di fronte a “macchine autonome e intelligenti, in grado di apprendere e prendere decisioni in modo indipendente” e, addirittura, all’eventualità “che è possibile che a lungo termine l’intelligenza artificiale superi la capacità intellettiva umana”.
Dinanzi a questo incombente scenario si fa strada anche la consapevolezza che senza un’adeguata previsione normativa e un congruo inquadramento giuridico del fenomeno tutto rischia di essere compromesso.
Partendo dalla constatazione che in alcuni significativi Stati si è o si sta già procedendo alla emanazione di atti normativi in tema di robotsica e di IA, si propone che anche l’UE adotti normative proprie, onde evitare di “adottare e subire norme stabilite da altri”.
La conclusione è che “l’autonomia dei robots solleva la questione della loro natura alla luce delle categorie giuridiche esistenti e dell’eventuale necessità di creare una nuova categoria con caratteristiche specifiche e implicazioni proprie”, cioè di “nuove normi efficaci e al passo con i tempi. L’approdo ultimo dovrebbe consistere nel riconoscimento, “almeno per i robots autonomi più sofisticati”, della personalità elettronica; essa dovrebbe essere delineata da “una proposta di direttiva relativa a norme di diritto civile sulla robotica”.
La Risoluzione, come peraltro è logico che fosse, si muove all’interno dei concetti attuali del diritto, facendo capo alla categoria della personalità, che è categoria nata e forgiata intorno all’uomo.
Ma proprio questa impostazione appare critica. Occorre, invero, verificare se quel richiamo appaia appropriato e pertinente; il che equivale a chiedersi se ed in quali confini sia opportuno applicare ad una entità finora inesistente e relativa ad un contesto storico e socio-economico mai verificato o prefigurabile il percorso normativo modellato intorno all’uomo o, come si suole dire, intorno alla persona. che, come si è evidenziato, non sempre è indicativa dell’uomo, ma, piú spesso, anzi, è frutto di astrazione; di modo che persona ha potuto significare sia realtà ed entità non immediatamente individuabili sia l’uomo. Ciò in virtú della capacità creativa riconosciuta al diritto, per mezzo della quale si è dato vita a costruzioni complesse e talora persino paradossali e nel contesto delle nuove scoperte scientifiche, le quali, per esempio attraverso le neuroscienze, in qualche misura hanno messo a nudo l’uomo, evidenziando l’automaticità di alcuni suoi comportamenti[29].
In conclusione, si può ribadire che stiamo dinanzi ad uno scenario del tutto nuovo ed in continua evoluzione. Il quale, tuttavia, purtroppo non è avvertito (nella sua interezza ed impellenza) dalla Politica, mentre è ben presente al mondo accademico ed a quello imprenditoriale[30].
Muovendosi nella prospettiva della persona, per ipotizzare una possibile personalità dei robots e delle IA; si è dovuto constatare, fin dai primi tempi[31], che essa appare problematica e di difficile soluzione.
Invero, sebbene robotica e intelligenza artificiale siano cresciute più del previsto, l’identificazione di una personalità giuridica dei robots si è dimostrata questione troppo complessa per aver soluzione[32]. Credo per delinearla occorra aver coraggio ed abbandonare lo schema della persona/personalità/soggetto individuando una nuova entità giuridicamente rilevante, con le sue complesse ed originali articolazioni.
- Ad analoghe conclusioni, a mio sommesso avviso, induce anche la disciplina da delineare in materia ambientale.
Già da tempo è stato sostenuta l’opportunità di configurare l’ambiente come sistema giuridico autonomo[33], passando dalla visione antropocentrica e biocentrica a quella eco-centrica, che contempla non piú il diritto all’ambiente, bensí il diritto dell’ambiente[34]
Va poi avvertito che la necessaria rivendicazione della centralità della persona, cui occorre provvedere con urgenza, va ridisegnata in funzione anche della centralità dell’Ambiente.
Restando ancorati alla centralità della persona si rischia di arrivare ad un punto di non ritorno per la vita del pianeta; il che vuol dire anche ad una compromissione irrimediabile per la sopravvivenza stessa dell’umanità.
Dinanzi a siffatta eventualità, credo proprio che ci dobbiamo domandare se forse non sia giunto il momento di abbandonare vecchi percorsi, anche prestigiosi (quale è quello legato al termine personalità giuridica e di soggetto giuridico ed alle sue implicazioni e suggestioni) e tentare vie nuove, se non ci si voglia rassegnare al fallimento del diritto.
Le questioni dell’aumento dell’anidride carbonica nell’aria, del buco nella fascia dell’ozono, della deforestazione selvaggia, dell’affollamento delle zone costiere, soprattutto nelle zone costiere del Mediterraneo (mare, per giunta, dal lento e faticoso ricambio), sono di tale entità che non possono essere inquadrate e risolte nell’alveo dei concetti giuridici tradizionali.
Occorre farsi carico del problema fino in fondo, avvertendo che, sebbene i problemi siano diffusamente affrontati in piú aspetti e con provvedimenti o elaborazioni persino sovrabbondanti, manca, però, la consapevolezza profonda che essi non possono venire risolti con gli schemi tradizionali del diritto e che, al contrario, richiedono un’ottica nuova, che non può non essere quella della centralità di Gea (della Terra).
A ciò si suole obiettare che comunque non pare concepibile un diritto che non nasca e non sia finalizzato all’uomo, perché lui e solo lui può esserne il punto di riferimento e l’artefice. Contro siffatta e pur motivata convinzione, a me pare pericoloso illudersi che il diritto, pur se rimesso all’uomo per la sua esecuzione, non abbia fondamenti che lo trascendono[35].
Invece mi pare che solo abbandonando le costruzioni antropocentriche, purtroppo dominanti, si può ridefinire il ius in funzione della ‘vita’, della Terra e delle generazioni future. Questa nuova ottica[36] comporta la individuazione e la delimitazione, in termini oggettivi, delle situazioni nelle quali l’azione dell’uomo può essere ritenuta giuridicamente giustificabile. Essa impone una rivoluzione nel diritto e delle costruzioni assate intorno a Persona: non piú gli Stati, le persone giuridiche confessionali o economiche, possono essere arbitri dei valori e decidere il diritto degli uomini e del Pianeta.
Credo, pertanto che invece di riconoscere quasi personalità o soggettività qua e là, a luoghi o parti dell’habitat (come foreste, mari ecc.) si debba riconoscere l’esistenza di una ENTITÀ GIURIDICAMENTE RILEVANTE costituita dai diritti dell’Ambiente e dei beni comuni.
In conclusione: inviterei a riflettere se non si debba abbandonare la secolare articolazione del diritto intorno a Persona e passare alla enunciazione di Entità aventi ciascuna specifica caratteristica e rilevanza giuridica.
[1] A conclusione di tutto il cammino del diritto romano Giustiniano affermò: Ac prius de personis videamus. Nam parum est ius nosse, si personae, quarum causa statutum est, ignorentur (Institutiones Iustiniani 1. 2. 12), dove l’Imperatore e codificatore ricalcò quanto già sottolineato dalla giurisprudenza del Principato; ad es., D. 1. 5. 2 (Hermogenianus, liber primus iuris epitomarum): Cum igitur hominum causa omne ius constitutum est … Sul punto, da me trattato in diverse sedi, mi sia consentito, anche per i riferimenti bibliografici e per l’escussione delle fonti, rinviare ( tra l’altro) ad alcuni dei miei scritti in tema di persona: La personne au regarde de l’histoire et de la philosophie juridique, in Actes du Congrès sur “La personne humaine face au droit dans les Pays Méditeranéens”, Jbeil‑ Byblos 16-18 set. ‘93, Liban, 1994; Centralità dell’uomo (Persona), in AA. VV., Studi per Giovanni Nicosia. Raccolta di scritti in onore di G. Nicosia, vol. VIII, Milano, 2007, pp. 97-154; Ius hominum causa constitutum. Un diritto a misura d’uomo, Napoli 2009; pp. 1-251.
[2] La proposizione che riassume piú efficacemente la concezione del mondo e del diritto fu enunciata, rectius riassunta, da Protagora nato ad Abdera in Tracia nel 480 a.C. La sua tesi fondamentale, che rifletteva la visione incentrata sull’uomo a base di tutto il pensiero greco, è riassunta nel sintagma “l’uomo misura di tutte le cose, di quelle cose che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono”. Il che sta a significare che l’uomo è il metro, il soggetto di giudizio della realtà o dell’irrealtà delle cose, del loro modo di essere e del loro significato. L’uomo è vidto come unico e centrale punto di riferimento per sé stesso e per le cose; in primo luogo come singolo, poi come comunità o civilità, infine come specie. Anche per Socrate solo l’uomo può giudicare ciò che è creato dall’uomo stesso, di modo che quando affermiamo un concetto o esprimiamo un’opinione l’unico punto di vista che possiamo utilizzare è quello umano. Conseguente a ciò è stata la concezione antropocentrica del diritto.
[3] Rinvio alle acute osservazioni ed ai penetranti stimoli che, sul tema, ha offerto F. Galgano, Il rovescio del diritto, Milano 1991, anche con le Sue divertite osservazioni: pp. 23 ss., § I – La superbia dell’uomo. … Iddio creò l’uomo a propria immagine e somiglianza, ma l’uomo non volle essergli da meno: creò, a immagine e somiglianza propria, la persona giuridica. Le dette un’assemblea ed un consiglio di amministrazione e le disse: questi sono i tuoi organi; l’assemblea è il tuo cervello; vedrai, ascolterai, parlerai con gli occhi, con le orecchie, con la bocca dei tuoi amministratori. … Ma l’uomo volle fare di più e di meglio: alla persona giuridica, che è sua creatura, permise ciò che a lui stesso, creatura di Dio, non è consentito. L’uomo è mortale, la persona giuridica può essere immortale. Le basta, per assicurarsi l’immortalità, che ad ogni scadenza del termine di durata l’assemblea ne deliberi la proroga, e cosí all’infinito. E c’è ben altro: le persone giuridiche possono fondersi. Di due o più persone giuridiche se ne può fare una sola, sia che una incorpori le altre, sia che tutte si fondano in una nuova persona giuridica. Nulla di simile è dato all’uomo. Nelle sacre scritture è rive lato: ” sarai una sola carne “; ma è solamente una metafora; di due o più corpora l’uomo ha saputo fare davvero, e non soltanto per metafora, una sola corporation. Altro prodigio: la persona giuridica può essere scorporata e, di una persona giuridica se ne possono fare, per scissione, due o più, praticamente senza limiti di numero. La creatività umana ha, dunque, largamente superato quella divina: al Creatore un simile prodigio era riuscito solo per gli esseri uni cellulari.
[4] Come lucidamente affermò Friedrich von Savigny: v. Galgano, cit. p. 28.
[5] Sul punto non posso che rinviare al Galgano, loc. cit.
[6] Va tenuto presente che il primitivo significato di persona subí trasformazione profonda con la speculazione cristiana. Ciò perché quel termine fu adoperato per Dio e, di conseguenza, poiché racchiudeva la verità e la bontà, assurse a nuovo significato, indicando non piú il semplice uomo di natura, bensí l’uomo capace di ispirarsi a Dio, cioè l’uomo elevatosi con l’acquisizione della virtù. Alcuni filosofi (Berdiaev, per citarne uno) precisarono che uomo si nasce, mentre persona ci si fa. Tutto ciò ebbe grandi conseguenze nella storia umana: ad esempio, d’ora in poi occorreva che la ‘persona’ dovesse essere almeno battezzata, sicché i ‘nativi’ (delle Americhe o dell’Africa) non erano persone e non potevano godere della protezione predisposta per le persone!
[7] Uno dei piú autorevoli pensatori riassume efficacemente lo status quaestionis: P. Perlingieri, Manuale di diritto civile (Napoli 1997) 115 s.: “Per unanime opinione la capacità giuridica assurge a principio generale dell’intero ordinamento giuridico. Essa è definita dalla dottrina come idoneità di un soggetto ad essere titolare di diritti e doveri e piú in generale di situazioni soggettive. Secondo taluni però occorre distinguere la capacità giuridica “generale”, che in quanto attitudine astratta e generica è estesa a tutti gli uomini, dalla capacità giuridica speciale, quale incidenza della capacità generale sulla possibile titolarità delle singole situazioni. Dominante è l’opinione che identifica la capacità giuridica con la soggettività. … La fattispecie‑capacità è preliminare ad ogni altra situazione soggettiva e si pone come presupposto per l’acquisto di tutti i diritti e gli obblighi giuridici”. L’altra impostazione, invece, raccoglie le teorie c. d. atomistiche che tendono a scomporre il fenomeno in tanti comportamenti quante sono le norme che li prevedono. La persona, fisica o giuridica, che “ha” doveri giuridici e diritti soggettivi “è” questi doveri e questi diritti; è, cioè, un complesso di doveri giuridici e di diritti soggettivi raffigurato unitariamente. Tale concezione estromette l’individuo dal mondo del diritto, limitandosi a cogliere l’isolato comportamento umano come previsto e disciplinato dalla singola norma.
[8] Formulata dai Pandettisti, come categorie di un diritto astratto e valevole per tutti i tempi, i termini sono parsi i più idonei ad indicare ogni situazione con implicazioni giuridiche rilevanti: v. Falzea, sv. Capacità (Teoria generale), in ED (enciclopedia del diritto) VI (1960) 8 s., spesso trasmigrando dal diritto civile a tutte le branche del diritto. Cfr. Perlingieri, Manuale loc. cit.
[9] Il punto è pacifico per i romanisti. Ciononostante essi, anche per inquadrare la realtà giuridica romana, usano parlare di capacità (giuridica e di agire), presumibilmente perché ritengono che il vocabolo sia per lo studioso contemporaneo il piú idoneo per la comprensione dell’antico: cfr., per tutti tre esempi emblematici della odierna e piú autorevole manualistica sul punto v. V. Arangio-Ruiz, Istituzioni di diritto romano14, Napoli rist. 1985, p. 43; M. Talamanca, Istituzioni di diritto romano, Milano 1990, p. 75 s. Adde M. Marrone, Istituzioni di diritto romano2, Palermo 1994, p. 193. Lucidamente, da ultimo, però il Catalano denuncia i vizi insiti in queste formulazioni e nelle conseguenti posizioni della romanistica contemporanea.
[10] V. Perlingieri, Manuale loc. cit.:
[11] Io stesso (ed oggi ne faccio ammenda) ho operato questa assimilazione scrivendo “Persona è oggi sinonimi di soggetto di diritto ed anche di uomo”: v. Diritto, uomini, persona, in Zbornik Pravnog Fakulteta Sveučilišta u Rijeci 21 – Br. 2, Zagreb 2000, p. 889. Cfr., sul punto, Perlingieri, Manuale cit., 115: “Persona umana e soggetto. L’A. avverte che risulta fortemente ridimensionata “l’affermazione che tutte le persone umane sono soggetti di diritto: lo sviluppo storico e lo studio comparatistico degli ordinamenti giuridici dimostrano che il dato non è immutabile e la dottrina ricorre al termine soggetto (anziché a quello di persona), là dove si occupa del fenomeno soggettività in termini di struttura, mentre alla persona riserva un significato piú contenutistico”.
[12] V. Perlingieri, Manuale, loc. cit.
[13] V. P. Catalano, Diritto, soggetti, oggetti: un contributo alla pulizia concettuale sulla base di D. 1,1,12, in Iuris vincula. Studi in onore di M. Talamanca, II, Napoli 2000, pp. 114- 117: L’ultima raffinatezza della deviazione dal diritto romano sta nel proiettare in esso gli astrattismi odierni. … Secondo siffatta attività ermeneutica il principale concetto sistematico antico, persona-homo, sarebbe privo … di ‘valore tecnico-giuridico’. In verità è persona-(homo) la parola che dà l’ordine al sistema giuridico: da Gaio (e forse già prima) a Giustiniano e, in certo modo, fino ad oggi. La giuridicità della persona-homo, dell’uomo concreto, ‘in carne ed ossa’, è stata quasi cancellata dalla nozione di `soggetto di diritto’, il più pericoloso degli astrattismi. Si badi: la `teoria del soggetto di diritto’ è estranea non solo al diritto romano ma anche alla tradizione giuridica canonica, che da quello deriva. Alla base del contrasto sta il soggettivismo che oppone ‘soggetti’ e ‘oggetti’. …. Serve dunque una critica romana, cioè in radice. Il superamento della frontiera tra ‘soggetti’ e ‘oggetti’ consente che riemergano, nell’interpretazione odierna dello ius, gli Dei e i popoli. (e le partes di questi), i singoli uomini (liberi e servi, nati e nascituri) e gli (altri) animali e tutte le (altre) res. … Il `soggetto di diritto’ è invece docile strumento del `diritto oggettivo‘ di poteri privati, statali e internazionali, oggi tutti ‘soggetti’ della (o alla?) globalizzazione. Contro tale antiumanesimo sta l’ars boni et aequi romana: uno ius universale e concreto, che gli uomini possono storicamente usare”
[14] Cosí Catalano, loc.cit.
[15] Sul punto v. Catalano, Diritto, soggetti, oggetti cit., 101. L’A. critica le posizioni della romanistica contemporanea: “Romanisti del XX secolo si sono ostinati a iniziare il loro insegnamento con concetti (nient’affatto romani!) di ‘diritto oggettivo’ e ‘diritto soggettivo’. Esempi di intitolazioni: «Le due fondamentali accezioni di ius: diritto in senso oggettivo e diritto in senso soggettivo», «Diritto oggettivo e diritti soggettivi». Molti professori sembrano non voler rinunciare a queste due categorie elaborate negli ultimi due secoli; anzi: preferiscono cancellare i concetti antichi. Tale atteggiamento, essenzialmente ‘soggettivista’, può non sorprendere se si considera che il concetto di ‘diritto soggettivo’ è stato, nel XX secolo, duramente criticato da giuristi nazionalsocialisti e anche da marxisti-leninisti’. Per completare il quadro storico si dovranno però tenere presenti altresí i forti interrogativi circa l’applicabilità della nozione di diritto soggettivo al diritto. canonico. Mentre la distinzione tra ‘Law’ e ‘Right’, che sembra corrispondere a quella tra ‘diritto oggettivo’ e ‘diritto soggettivo’, risulta intrinseca e spontanea nel moderno linguaggio giuridico angloamericano”.
[16] Catalano, Diritto, soggetti, oggetti cit., 102: “Devo ribadire che la distinzione tra `soggetto‘ e `oggetto‘ di diritto è estranea al diritto romano”.
[17] Cic., De off. 1. 17. 53-54: Gradus autem plures sunt societatis hominum. Ut enim ab illa infinita discedatur, proprior est eiusdem gentis, nationis, linguae qua maxime homines coniunguntur; interius etiam est eiusdem esse civitatis: multa enim sunt civibus inter se communia, forum, fana, porticus, viae, leges, iura, iudicia, suffragia, consuetudines praeterea et familiaritates multisque cum multis res rationesque contractae. Artior vero colligatio est societatis propinquorum; ab illa enim immensa societate humani generis in exiguum angustumque concluditur. 54: Nam cum sit hoc natura commune animantium, ut habeant libidinem procreandi, prima societas in ipso coniugio est, proxima in liberis, deinde una domus, communia omnia; id autem est principium urbis et quasi seminarium rei publicae. Sequuntur fratrum coniunctiones, post consobrinorum sobrinorumque, qui cum una domo iam capi non possint, in alias domos tamquam in colonias exeunt. Sequuntur conubia et affinitates ex quibus etiam plures propinqui; quae propagatio et suboles origo est rerum publicarum. Tr. §53: Peraltro la società umana ha diversi gradi o forme. La società piú ampia, dopo quella che non ha confini e di cui abbiamo già parlato, è quella che consiste nell’identità di nazione e di linguaggio, che è il vincolo piú saldo che unisca gli uomini fra loro. Società piú intima ancora è quella di appartenere alla stessa città: molte cose i cittadini hanno in comune fra loro, come il foro, i templi, i portici, le strade, le leggi, i diritti, i tribunali, i suffragi; inoltre, la familiarità e le amicizie, i molteplici e scambievoli rapporti d’interessi e di affari. Ancora piú stretto è il legame che avvince i membri di una stessa famiglia: la società umana, da quella forma universale e infinita, si restringe cosí a una cerchia piccola e angusta. § 54: In verità, poiché per natura è comune agli esseri viventi il fatto di tendere alla procreazione, la prima forma di società si realizza nell’unione matrimoniale; la seconda, nella prole, e quindi la casa comune e la comunanza di tutto. Questo è il fondamento della città e come il vivaio della Repubblica. Seguono le unioni tra fratelli e sorelle, poi tra cugini e biscugini, i quali, quando una sola casa non può piú contenerli escono a fondar nuove case, quasi come colonie. Seguono i matrimoni e le affinità dalle quali per cui si moltiplicano le parentele; e in questo propagarsi e pullulare della prole è appunto l’origine delle Repubbliche.
[18] La necessità di porre in discussione la concezione antropocentrica è emersa anche alla luce della normativa dell’Unione europea ormai da tempo: v., ad es., già dal 1992, F. Lettera, Lo stato ambientale e le generazioni future, in Riv. Giur. Ambiente, 1992, p. 235; E. Casolino, Uomo e ambiente in Europa: evoluzione nei principi e nella normativa, in I diritti fondamentali dell’uomo e dell’ambiente. Nei Cmbiamenti dell’Europa Centro-Orientale, Varsavia 2-4 giugno 1995, pp. 53 ss. Atti del Congresso Internazionale dell’Accademia di Teologia Cattolica di Varsavia. Già in quella occasione, aprendo il Convegno de quo, espressi il convincimento che “… solo abbandonando le costruzioni antropocentriche, oggi dominanti, si può ridefinire il ius in funzione della Terra e delle generazioni future” (p. 22). Sul punto, rinvio anche a quanto ho posto in luce in: Persona: Radici e valenze. Superare l’antropocentrismo, in International Scientific Journal – Collegji Fama, anno I n° 1, ISSN 2499-8656, Giu. 2016, Bari, pp. 5-32 – consultabile anche in: Corriere nazionale, 25 aprile 2018, consultabile al sito www.corrierenazionale.net (Il Corriere Nazionale).
[19] Cosí, ad esempio, è stato per la scoperta del fuoco, della ruota, del cavallo e delle staffe, delle macchine che hanno dato vita alla società industriale.
[20] V. G. Capograssi, Opere, [cur. M. D’addio, E. Vidal], voll. I – VI, Giuffrè, Milano 1959. Vol. VII [cur. F, Mercadante] Giuffré, Milano 1990; Idem, Pensieri a Giulia, pubblicati da G. Lombardi, Giuffrè, Milano 1978 – 1981. Tra i saggi che qui interessano va citato: Studi sull’esperienza giuridica (Roma 1932), 2° vol., 1959, pp. 211-373. Il saggio è stato fonte per molti pensatori: cfr., ad esempio, G. Zaccaria, Esperienza giuridica, dialettica e storia in Giuseppe Capograssi. Contributo allo studio del rapporto tra Capograssi e l’idealismo, Cedam, Padova 1976.
[21] R. Orestano, Della ‘esperienza giuridica’ vista da un giurista, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, XXXIV [1980], pp. 1173-1247, in partic. p. 1178.
[22] Da ultimo, cfr. G. Acocella, Etica, diritto, democrazia. La grande trasformazione, Il Mulino, Bologna, 2010, nello specifico partic. p. 92.
[23] Osserva M. Iaselli, Robot con intelligenza artificiale, verso una soggettività giuridica?, in Altalex, riv. Online, 21/02/2017, “È, quindi, evidente che ci si trova di fronte a quella che è una vera e propria realtà”. Questa nuova realtà richiede la modifica anche radicale dell’etica, nella quale s’impone la sostituzione del prefisso ‘bio’ con il prefisso ‘tecno’ e si assottiglia sempre piú il riferimento al ‘bios’: cosí L. Palazzani, Dalla bio-etica alla tecno-etica: nuove sfide al diritto, Giappichelli, Torino, 2017.
[24] Plasticamente di recente, intervenendo in un dibattito destinato a crescere nel futuro, perché richiama tutti a guardare al mondo come sarà tra poco, un autore ha evidanziato ciò dichiarando Le persone non servono: J. Kaplan, Le persone non servono. Lavoro e ricchezza nell’epoca dell’intelligenza artificiale, Luiss University Press, Roma 2016
[25] L’espressione è della Palazzani, la quale con riferimento al futuro che ci attende significativamente ha coniato il termine Roboetica avvertendo che implica nozioni che vanno oltre l’uomo: v., loc. cit. V ed ultimo capitolo § 11: Roboetica: oltre l’uomo, pp. 389 ss.
[26] G. Vatinno, Il transumanesimo. Una nuova filosofia per l’uomo del XXI secolo, Armando, Roma 2010.
[27] La riflessione articolatasi sulla risoluzione accentua la centralità dell’uomo anche dinanzi all’intelligenza artificiale: v., ad es. A. Morelli, Parlamento Europeo. Approvata la risoluzione per le leggi, in www.lacostituzione.info/index.php/2017/01/14/parlamento-europeo-approvata-la-risoluzione-per-le-leggi-sulla-robotica. M. Iaselli, robot con intelligenza artificiale, verso una soggettività giuridica?, in Altalex, cit.: “L’autonomia dei robot solleva la questione della loro natura alla luce delle categorie giuridiche esistenti – se devono essere considerati come persone fisiche, persone giuridiche, animali o oggetti – o se deve essere creata una nuova categoria con caratteristiche specifiche proprie e implicazioni per quanto riguarda l’attribuzione di diritti e doveri, compresa la responsabilità per i danni. Se cioè devono essere considerati soggetti o oggetti di diritto”.
[28] In seguito, qui, indicate con IA.
[29] Sulle implicazioni delle neuroscienze, oggetto della mia attenzione in piú sedi, rinvio, anche per i riferimenti bibliografici a: L. Tafaro, Neuroscienze e diritto civile: nuove prospettive in BioLaw Journal, Rivista di BioDiritto, n. 3/2017, pp. 251-272, ISSN 2284 – 4503.
[30] Particolarmente riguardo ai robots ed alla IA, voci rilevanti, come quella di Elon Musk, potenti imprenditori della West Coast, o docenti come Ryan Calo (professore di diritto nella University of Washington – School of Law, nella Stanford University – Law School e nella Yale Law School) hanno sollecitato un’ampia regolamentazione dell’IA, chiedendo l’istituzione di una commissione federale di robotsica, per esaminare le questioni morali e giuridiche ad essa afferenti.
[31] V., ad es., R. A. Freitas, The legal rights of robots, in Student Lawyer 13 (1985), p. 54 s.
[32] La complessità della tematica è oggetto dovunque di diversi approcci; ad esempio, in Italia la fondazione Leonardo- Società delle Macchine ha elaborato e presentato al Parlamento un ricco ed articolato documento: 20 principi guida. Statuto etico giuridico dell’Intelligenza artificiale.
[33] Cfr., già dal 1995, G. Dammacco, Ambiente e diritti nell’ordinamento canonico, in I diritti fondamentali dell’uomo e dell’ambiente, cit., p.83
[34] Affermato nella UE già con la direttiva ‘Seveso 2’: cfr. Casolino, op. cit.
[35] Ancora Ulpiano ci mostra quanto sia possibile e opportuno superare il concetto di un diritto solo degli e per gli uomini; egli affermava l’esistenza di un ius naturale comune ai viventi: D. 1. 1. 1. 3 Ulp. 1. 1 inst.: Ius naturale est, quod natura omnia animalia docuit: nam ius istud non humani generis proprium, sed omnium animalium, que in terra, quae in mari nascuntur, avium quoque commune est. Il punto di vista del giurista romano può offrire un modello per l’inizio della riflessione in termini nuovi, evitando di cadere in un naturalismo improduttivo, ma acquisendo la coscienza di una realtà, che è diritto, di là dall’uomo e dalle sue costruzioni, spesso erronee.
[36] Essa in parte viene qua e là anticipata da leggi, iniziative e decisioni dell’onu, della cee, delle Corti di giustizia (soprattutto internazionali). Ad esempio i tribunali e la dottrina italiani riconoscono il danno biologico. Quello che urge è il passaggio ad un quadro unitario, superando l’occasionalità e la frammentazione.