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Le Dernier Combat è l’ultimo lavoro in ordine di tempo di Mario Tani, soggettista e sceneggiatore dalla penna interessante e, registicamente, fine interprete degli incubi e dei iper-realtà di cui egli stesso è autore. Le Dernir Combat è la terza parte di una trilogia dove ciascun elemento ha il titolo in francese, non già nella lingua comunemente traducibile ma nei recessi di significato che le espressioni idiomatiche nascondono o negli usi che di tali espressioni il cinema o letteratura hanno fatto nel corso del tempo. Di livelli di significato e significanti è ricolmo anche il cinema di Mario Tani, barese classe 1976 che nel 1995 esordì con un altro titolo in francese Monsieur Montgomery. Da quel primo lavoro lo stile compositivo di Tani si è senz’altro evoluto fino a meritare al più presto l’esordio al lungometraggio. Se infatti Un Certain Reguard, pluripremiato corto del 2006, sperimentava "una nuova forma di linguaggio, con un dialogo serrato e dei caratteri molto presenti e precisi – partendo – da una situazione classica del cinema di suspense", Le Dernier Combat pur partendo da simili premesse va bene oltre e costruisce i personaggi in modo grottesco, fino alla consunzione estrema del loro starsene al mondo.
L’esistere stesso è inficiato dal loro combattere ogni giorno fino alla resa dei conti che appare finale nella quale marco il protagonista Marco uccide Caspar uccidendo come in uno specchio o in strano rito vudù anche se stesso. La quasi totale assenza di consequenzialità logistico-spaziale tra le parti del lavoro contribuisce allo spiazzamento continuo di Marco, intorno al quale premono tutte le strutture endonege ed esogene del racconto filmico come in una scatola, facendosi via via sempre più strette e labirintiche fino a che non si incontra il nemico. Le pareti interne dell’appartamento in cui la parte finale della vicenda si svolge al passaggio del protagonista non a caso assumono la "liquidità" rocciosa di quelle di una grotta fino a che terminato il dedalo intricato della casa-labirinto, tutto si libera nell’apparenza di un giardino dove marco ha il tempo di guardare in faccia il suo nemico e riconoscervi se stesso. Ma questa consapevolezza che fa di Caspar-Asterione un avversario troppo banale e troppo grande per la varia umanità, non fa retrocedere Marco dal premere il grilletto dell’arma contro se il suo alter-ego eliminando così anche se stesso. Che Tani abbia un grande talento lo si evince da numerosi aspetti, oltre alla competenza tecnica e alla cognizione del dolore e delle passioni che sono nel suo universo interiore, il regista mostra una profonda competenza del post-moderno. Infatti tra i più grandi meriti di un artista contemporaneo vi è senza dubbio il riuso in chiave personale ed esperienziale della storia del cinema. Il nome di Caspar ricorda profondamente la quintessenza dell’umanità rappresentata da Kaspar Hauser, protagonista indimenticabile dell’immaginario onirico e concretissimo del maestro del cinema tedesco Werner Herzog, ma non esula neppure dai riferimenti, tanti, a Fight Club di Chuck Palahniuk prima e di David Fincher poi. Soprattutto nel romanzo di Palahniuk piuttosto che nella versione cinematografica sceneggiata da Jim Uhls, il Fight Club è una lotta contro l’io ipertrofico e malato dell’uomo contemporaneo che lotta con tutte le sue forze contro il grande nemico che porta dentro, e che solo nella Dernier Combat, può essere piegato a scapito di se stessi, per salvare gli altri. Altro elemento di grande interesse nella scrittura di Mario Tani è l’idea di un continuo capovolgimento di fronte, una combine che si esprime oniricamente fra essere e dover essere e che non resiste neppure alla distruzione del soggetto poetante, all’io del protagonista, che per quanto ipertrofico sia sfugge a qualsiasi seria classificazione junghianamente tipizzatabile.