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Continua il viaggio dedicato alla storia di Bari, descritta dall’appassionato di storia e cultura barese Nicola Mascellaro che da più di trent’anni fotografa questa città e la racconta. Al suo attivo ha diverse pubblicazioni.
Donna Wanda e basta. Così era per tutti Wanda Gorjux Bruschi. Non era necessario aggiungere il suo cognome da nubile, Bruschi, e neppure quello del marito, Gorjux, fondatore e direttore della Gazzetta di Puglia.
Lei era di più. Il suo nome andava oltre il pur ampio mondo del marito. Lei lo surclassava di qualche spanna per cultura,
notorietà e impegno sociale. Donna Wanda era nota sia fra le più alte personalità politiche e intellettuali del suo tempo, sia fra il ceto popolare, le massaie della città vecchia e della provincia, gli operai nelle fabbriche, il grande pubblico che affollava i teatri per le sue lucide conferenze. Il suo orizzonte culturale era talmente vasto e variegato da risultare perfino imbarazzante al ‘machismo’ fascista. Donna Wanda scriveva con lucidità e competenza di letteratura, filosofia, economia, arte, spettacolo e politica, nazionale ed estera, e dal 1939 al 1943 si dilettava anche in corrosivi elzeviri politici con lo pseudonimo l’Osservatore che paradossalmente avrebbero suscitato l’ammirazione dell’inimitabile corsivista Mario
Melloni, il ‘fortebraccio’ dell’Unità negli anni Sessanta e Settanta. Wanda Bruschi nasce a Bari il 16 novembre 1888. E’ figlia secondogenita di Ernesto, professore di storia e geografia, e di Elisabetta Cesari. Una famiglia borghese come poche nell’Ottocento. Genitori che crescono i propri figli con rigidi principi morali, come si addice ad un docente del Reale Liceo, e al tempo stesso aperti e attenti agli stimoli del nuovo secolo fino ad inviare la fanciulla a Roma per frequentare la facoltà di Magistero. Conseguita la laurea, donna Wanda torna a Bari e comincia ad insegnare. Ma non è abbastanza per la molteplicità dei suoi interessi. Vuole scrivere, sa scrivere e comincia a pubblicare su periodici femminili articoli vari firmandosi con diversi pseudonimi: Medusa, Madam Récamier e Spettatore che utilizza a seconda degli argomenti che tratta. Spazia dalla letteratura alla filosofia fino alle recensioni di spettacoli teatrali. Nel 1911 sposa Raffaele Gorjux. I
ragazzi si conoscono da sempre. Le loro famiglie si frequentano da anni e quando lei ha il consenso dei genitori per recarsi a Roma, suo fratello e Raffaele Gorjux tentano l’avventura nel nuovo mondo. Ma l’America è un paese che offre occasioni ai disperati, non ai figli della borghesia italiana. Nel 1908 il fratello di Donna Wanda e Raffaele se ne tornano a casa e quest’ultimo, ottenuto un lavoro amministrativo dal proprietario del Corriere delle Puglie, introduce la moglie che non ha certo bisogno di referenze per dimostrare le sue qualità. Ma la ‘gavetta’ è uguale per tutti nei giornali. Anzi, per le donne è anche meno uguale che per gli uomini – la società dell’epoca considerava la donna una ‘fattrice di prole’, un’appendice
sociale da segregare in casa – tanto che l’impegno professionale della signora Gorjux con il Corriere comincia a diventare corposo solo dopo il primo conflitto mondiale. E’ con Donna Wanda che nascono sul Corriere le rubriche di ‘cronache femminili’ e ‘cronache letterarie’ trasformate poi in pagine intere. Nel 1921 Raffaele Gorjux abbandona il Corriere e fonda, l’anno dopo, la Gazzetta di Puglia. Sono tempi di grandi mutamenti sociali e politici.
L’Italia è sull’orlo di una guerra civile. Gorjux, con il suo nuovo giornale è a favore di un governo liberale. Ma i fascisti con la ‘marcia su Roma’, risolvono la crisi politica a loro vantaggio instaurando la dittatura. Gorjux prima si adegua poi, poco a poco, comincia a prendere le distanze, si estranea e sarebbe stato estromesso da tutte le cariche se l’entusiastica adesione al
fascismo di Donna Wanda non avesse garantito al Regime continuità nella linea politica del giornale. La Signora era salita sul treno dei fascisti con quella convinzione, ardore e passione che solo le donne sono capaci di dare quando si gettono nella
mischia. Donna Wanda riesce ad imporsi anche al ‘maschio’ fascista che ha, verso le donne, un atteggiamento anche peggiore dei liberali. I fascisti, a cominciare dal Capo, tendono ad esaltare l’Italica ‘mascolinità’ e cominciano a considerare le donne come una ‘disponibilità’ dell’uomo. Eppure, nonostante l’epoca, le convenzioni sociali e il nuovo conformismo di destra, sarà proprio il fascismo a dare a Donna Wanda gli strumenti e perfino il ‘potere’ per il consolidamento del Regime, consentendole altresì ampi spazi critici per le sue battaglie civili e sociali. Fin dal 1926 nella sua rubrica di cronaca cittadina ‘Considerazioni’ non lesina frecciate agli amministratori di turno, a cominciare dal Commissario straordinario Vincenzo Vella, spesso sollecitato a guardarsi intorno… «possibile che non riesce a vedere in quali condizioni di abbandono e miseria versano gli abitanti delle periferie e del vecchio borgo?» Né risparmia quei gerarchi rimasti legati al nefasto uso liberale della ‘raccomandazione’… «è ora di smetterla» scrive Donna Wanda «bisogna premiare il merito e le capacità!» E ancora, quando le vengono recapitati volumi da recensire, raccomandati dal settimanale del partito Lavoro Fascista spesso perfino con allegata recensione, Donna Wanda se ne adonta. Protesta contro il malvezzo poi, sistematicamente, distrugge libro e autore «se c’è un libro noioso è questo, se v’è un volume che non ha finalità né organicità, è questo». Insomma, niente sconti per nessuno. E quando i malcapitati protestavano a loro volta per i modi bruschi di Donna Wanda, il Federale di turno
alzava le spalle in segno d’impotenza. Era un esplicito: camerati, abbozzate e fate finta di niente. Donna Wanda non
si tocca! Ella era così rispettata e temuta in tutte le sfere del Regime da non avere sudditanze. Commentatrice politica eccellente, attivista instancabile, Donna Wanda era ovunque ci fosse bisogno di una parola sincera e onesta. La sua dedizione
al Partito era così totale e convinta che riusciva ad essere di conforto anche a quanti cominciavano a nutrire dubbi, a notare crepe e lacune nella politica fascista.
Dotata di una cultura enciclopedica, i suoi interessi spaziavano dai programmi di sviluppo urbano ai problemi del commercio, dell’industria, della viabilità regionale – ferrovie, strade e porti – e dell’istruzione… vitale per il risveglio delle coscienze… e soprattutto degli interventi mirati ad aiutare le famiglie attraverso opere assistenziali.
Già nel 1931 il suo impegno quale delegata regionale nell’Opera Maternità e Infanzia, le valse una medaglia d’oro.
Ma è la misera condizione sociale della maggioranza delle donne il suo cruccio… «bisogna educarle, se possono fare a meno del lavoro fuori casa ne fanno a meno: se hanno una piccola dote, se trovano un po’ di marito – non si rida di quel po’ perché qualche volta è proprio tale – si accontenta della vita casalinga, della famigliola, della casetta anche povera, del pane scarso purché sicuro, ma ciò non significa che bisogna limitarne la sua educazione».
S’indigna, invece, con le ‘signore e signorine di buona famiglia’ che nonostante l’immenso divario economico fra loro e le donne del popolo non cercano di ritagliarsi un ruolo nella società. Nel 1933 Bari è indicata come la città più prolifica d’Italia. La notizia riempie d’orgoglio Donna Wanda che commenta «abbiamo il primato di natalità ma abbiamo ancora un elevato
fattore di mortalità infantile; l’assistenza materna viene compiuta in primitive sale di maternità. Bisogna dunque costruire, edificare, senza ritardo il Centro di Assistenza Materna. Se proprio le finanze del Comune non possono sopportarne l’onere, chiami nella gloria di questo primato i costruttori, così noti per il loro appassionato fervore, chiami a contributo i più ricchi cittadini, chiami al contributo della lira o del soldino tutti i padri di famiglia che denunciano una nascita; il Centro sorgerà
ben presto, sol che lo si voglia. Dal primato di Bari sorge l’obbligo. Dal diritto di un riconoscimento sorge il dovere».
Né mancano, però, forme di pura esaltazione del fascismo e di culto della personalità.
Il 2 ottobre 1935 Mussolini si rivolge al Paese per giustificare l’occupazione militare dell’Etiopia. Il discorso, radiotrasmesso in tutte le piazze d’Italia, è ascoltato… da venti milioni d’italiani – scrive la Gazzetta – e mai si vide nella storia del genere umano uno spettacolo più gigantesco. Quel pomeriggio Donna Wanda è lì, a Roma, in Piazza Venezia. Il giorno dopo commenta: «nel vespro di Roma, io cronista, ho avuto la visione del millenario popolo d’Italia, dall’anima plasmata dai martiri e dagli eroi di tutti gli evi, fortificata dalle vittorie di tutti i secoli, da quelle dei legionari di Cesare a quelle dei reggimenti del Carso, non piegata né ad Adua né a Caporetto e temprata in acciajo dalla indomabile volontà fascista ho avuto, dico, la visione del popolo d’Italia, raccolto nella conca dei Fori Imperiali, inquadrato, silenzioso, lo sguardo di tutti
diventato un solo sguardo fisso al balcone di Palazzo Venezia, nell’attesa del cenno e della direzione di marcia».
Quattro giorni dopo la bandiera italiana sventola su Adua e la Società delle Nazioni c’infligge le note Sanzioni. Faremo da soli, dirà il Duce. E’ l’Autarchia! Per Donna Wanda è come andare in trincea. Si mette alla testa di 800 donne, le ‘visitatrici fasciste’, forma ad una giusta evoluzione. Possiamo farlo» scrive Donna Wanda «siamo ancora in tempo a farlo ma non con i
soliti luoghi comuni o con le vecchie frasi ma con i fatti e le opere nuove, dando alla donna la coscienza dei suoi doveri, la capacità di discernimento. E’ colpa del padre – bisogna che gli uomini siano padri di famiglia più che facitori di figli – della sua mente gretta, della sua passività o del suo disinteresse… c’è tutta una mentalità mascolina da creare in proposito. Bisogna cioè che gli uomini smettano di guardare le donne come rivali nel lavoro.» E ancora… «la condizione della donna nel lavoro, nella società e nella famiglia è un problema universale dal lato morale, etico e psicologico» le donne italiane non sentono la necessità. Vedove di guerra a Bari piccoli gruppi di due, tre signore e le manda nelle case delle famiglie più povere di tutta la provincia con il compito di addestrare le massaie a governare la casa, fare di cucito, rammendare, rivoltare cappotti, soprattutto risparmiare olio, legna e carbone, materie prime comprese nel paniere delle Sanzioni, e sul giornale inaugura una rubrica di economia domestica.
E’ inesauribile. Il 9 maggio 1936, quando la Società delle Nazioni abroga le Sanzioni, Mussolini proclama l’Impero. Donna Wanda si esalta: « il Duce non è un Capo; è il Capo; è il Condottiero; è l’eroe. Il Duce è Cesare e più di Cesare perché il dittatore romano non aveva una questione sociale in atto; è Augusto e più di Augusto perché fondare l’Impero è ben diverso dal farsene padrone; è Napoleone e più di Napoleone perché differente è terminare una rivoluzione già iniziata, differente è iniziarla, svolgerla, dominarla, compirla, esaltarla, renderla sempre più spirituale e perciò appunto universale. Benito Mussolini è la ‘confutazione vivente dell’impossibile’. Leggendario. Nostro. Italico. Mediterraneo. Romano. Egli è il Predestinato. E noi siamo i suoi devoti figli. Egli sa di poter contare su di noi ed a noi si volge ‘uomini e donne d’Italia’ e noi tutti uomini e donne d’Italia rispondiamo ‘presente’». Finite le Sanzioni, Donna Wanda redige un bilancio della sua esperienza con le ‘visitatrici fascista’. E’ un bilancio amaro: «quante capacità nascoste e mal dirette nelle nostre famiglie; quanti ricami complicati e orribili sulla biancheria, quanto lavoro inutile e brutto nella casa, quanti sistemi antiquati e riprovevoli entro le mura domestiche, e quante ragazze e peggio quante donne costrette al lavoro a venti, trenta, quarant’anni senza alcuna capacità specifica, senza nessuna risorsa, senza la minima direttiva per risolvere il problema del pane quotidiano». Qualche mese dopo il Ministero della Pubblica Istruzione istituisce, a Bari, una scuola professionale femminile e il Magistero femminile di economia domestica e lavori femminili.
Ma Donna Wanda è inesauribile. Passa dai problemi della condizione femminile alle famiglie, alla disoccupazione, agli alloggi, alle case economiche per contadini e braccianti…«che in molti centri della provincia vivono in uno stato d’indigenza estrema
» e mentre lei è impegnata nelle sue battaglie civili e sociali il Regime, attraverso la stampa, ha fascistizzato il Paese. Apparentemente sembra non essersi accorta che i direttori dei quotidiani hanno gradualmente preso a livellare, modellare, unificare, limitare l’informazione. Si meraviglia che… «negli articoli si ritrova la stessa…malinconia. Basta affiori un centenario, un anniversario e tutti si sentano in dovere di scrivere su quell’argomento come se la vita di un popolo si esaurisse su quel tema. Ci sono tanti problemi più scottanti e vivi, nei quali ognuno può portare la propria esperienza; perché andare a ripescare i soliti argomenti? Il nuovo, il nuovo! L’attuale, l’attuale! Se no, non facciamo giornalismo e nemmeno poesia e nemmeno arte e nemmeno letteratura; facciamo esercitazioni di letteratura; nature morte!» Ma veramente Donna Wanda non si è accorta che il fascismo si è incamminato su una strada senza ritorno? Sembra proprio di no perché lei, ancora nel 1937, ricorda alle alte gerarchie e a quanti cominciano ad essere scettici nei programmi della Rivoluzione che «è necessario s’inizi e si intensifichi il movimento che dovrà dare al lavoratore italiano, secondo la promessa del Duce, l’abitazione pulita e igienica, dove sarà dolce sostare e riposare con la moglie e i figlioli: casa pulita
al contadino, che non si dovrà confondere con le sue bestie, le quali hanno anch’esse diritto ad una stalla, ad uno
stabbio, ad una stia… igienici». Un altro grave problema esposto dal ministro Giuseppe Bottai, è l’analfabetismo…«una vera e propria piaga sociale» scrive Donna Wanda «ma il problema è anche edile, specie nelle scuole elementari. Quale educazione volete si compia quando negli edifici scolastici si effettuano due o perfino tre turni di lezioni con classi di 60 alunni in locali senza refettorio, senza cucine, senza palestre senza cortili o giardini? Si insegna a leggere, scrivere e far di conto, poi basta».
Sono problemi reali, ma ecco di nuovo l’incrollabile ‘fede’ di Donna Wanda: «in Regime fascista enunciare, è definire un problema; definirlo è risolverlo». Poi ancora, in tema di edilizia cittadina, denuncia imprenditori privati ed amministratori pubblici quando segnala lo stato in cui è ridotto il centro murattiano «molti edifici sono fatiscenti
e poi internamente, le case! Sono case? Sono case perché vi abita. Le condizioni di estrema povertà nelle quali vivevano le popolazioni pugliesi durante la guerra. Ma l’aria, la luce, i servizi igienici, le cucine, sono quali debbono essere, quali richiede la nostra civiltà e la nostra premura per la salute pubblica? Il ‘centro’ della città risponde più a questa prerogativa, oppure, ormai la ricchezza, la bellezza, la grazia, l’intelligenza cercano le loro abitazioni lontani dal centro che non offre più alcuna comodità né interiore né esteriore?». Dal 1938 poi, la politica del Regime cambia radicalmente . Verso la fine di febbraio Donna Wanda apprende con sgomento che anche i fascisti intendono introdurre in Italia le leggi razziali, ma le piace credere che non saranno mai applicate le teorie del razzismo tedesco: «il governo fascista non ha mai pensato, né pensa, di adottare misure politiche, economiche, morali, contrarie agli ebrei in quanto tali, eccettuato, ben inteso, nel caso in cui si tratti di elementi ostili al Regime». Ben presto sarà smentita. Il 3 settembre il Gran Consiglio approva il primo decreto legge contro gli ebrei: sono espulsi dall’insegnamento e dalla scuola italiana. Donna Wanda scrive: «per meglio chiarire le posizioni del problema che il Fascismo ha posto dinanzi alla coscienza dell’Italiano in tutta la sua dura realtà – ed è inutile fare lo struzzo e nascondere la testa per non vedere – torniamo sull’argomento per dare le richieste spiegazioni, in quanto e fin quando ne siamo capaci». Per la prima volta nella la sua carriera giornalistica Donna Wanda non riesce ad essere convincente. Intanto il Regime la chiama a Roma per affidarle l’incarico di Fiduciaria Femminile delle Fasciste romane. Non riuscirà ad inserirsi. Il suo cuore, i suoi affetti, i figli sono a Bari e quando Mussolini chiama gli italiani alla guerra, Donna Wanda torna a casa.
Appena un anno dopo l’inizio del secondo conflitto mondiale arrivano anche in Puglia le prime vittime della guerra. Inizia la fronda. Si comincia a sussurrare i primi se e i primi ma… non eravamo preparati… non abbiamo sufficienti materie prime… non siamo forti abbastanza! La prima a cogliere le voci di dissenso fra i fascisti è Donna Wanda. Ma è talmente indignata che si lascia andare in un linguaggio a lei insolito: «vi è qualcuno che di fronte a parole e parolette, a sorrisetti e sottintesi, fa decorosamente finta di non sentire e, scrollando sdegnosamente le spalle, fila per più liete o più limpide onde. Male. Oggi questi tali stringono le labbra con molta significativa prudenza; accennano, oh! 1930 Donna Wanda saluta il Re Vittorio Emanuele all’inaugurazione della prima Fiera del Levante a Bari appena appena a quel che ‘avevano detto un tempo’ e a quel che ‘sarebbe stato meglio!’ Certo, assicurano, gente più grande e più degna dei fascisti non c’è… ma… a questo ‘ma’ ai piccoli ed insulsi gesti, bisogna opporre la nostra avvedutezza e la nostra scaltrezza di italiani e fascisti. Non lasciarsi prendere dalla pania viscosa del sofisma e del ‘si dice’ e del ‘si sarebbe potuto’ e del ‘sarebbe meglio’. Un ceffone a tempo e luogo fa bene. I fascisti han fama di essere svelti di mano: è il momento di dimostrarlo. E qualche bravo patriota, anche se non ha voluto la tessera, potrebbe nell’occasione dimostrare di essere degno d’averla». Ma alla sua stessa retorica spesso contrappone articoli di dura realtà con la solita schiettezza e sincerità. «Certo – scrive verso la fine del 1941 – vi sono ancora in Italia case non risanate; bimbi senza scarpe; vecchi senza riposo; donne senza focolare. E questo solo perché siamo ancora troppo poveri, pur essendo talmente ricchi da aver inflitto al mondo la grande sconfitta dell’oro, una battaglia vinta dall’energia vitale del lavoro. A volte sale la domanda: perché sempre uomini contro uomini e non uomini tra uomini?». Poi di nuovo torna a blandire il Regime. Scrive un numero incredibile di editoriali, commenti vari, elzeviri e una serie di conferenze nei teatri, nelle fabbriche, in circoli culturali, operai e bracciantili. Donna Wanda è di una tale duttilità oratoria che riesce ad appassionare sia il colto pubblico del Grand Hotel di Roma che le operaie della manifattura tabacchi o dello stabilimento La Rocca di Bari. La sua cultura classica e l’enorme esperienza acquisita nel frequentare gente di ogni ceto sociale, la rende capace di disquisire su qualunque argomento. Quando scrive, e più ancora quando parla, si pone un unico obiettivo: arrivare direttamente al cuore della gente; con semplicità con gli umili, con l’arguzia, l’intelligenza e la conoscenza, con gli altri «noi serviamo il Duce ed il Regime e sempre abbiamo voluto levarci sopra ogni questione trita e meschina, sopra l’evento della cronaca spicciola, per cercare di formare nelle masse la profonda coscienza nazionale e fascista, compito ultimo e primo della cultura popolare». Le sorti della guerra però volgono al peggio. La vita si fa dura, le donne in gramaglia aumentano, cominciano le restrizioni. Donna Wanda raccomanda sobrietà, moderazioni alle signore della borghesia che frequentano la sala da the del Grand Hotel d’Oriente. Ma non serve. C’è chi le scrive per sapere perché il giornale ha abolito la rubrica delle novità discografiche o perché, da tempo, manca la cronaca femminile. Altre lamentano di avere difficoltà a trovare le ‘serve’, perché la mobilitazione civile ha portato le donne nelle fabbriche, e chiedono consigli su come rammendare un abito o cucinare un arrosto. Donna Wanda risponde a tutti: «a quella genia di fannulloni che non hanno sangue nelle vene, esenti da tutto anche dall’onore» dice «non è tempo di cronache femminile né tanto meno di novità discografiche». Alle signore della borghesia, invece, scrive: «quando qualche volta, a voce o per iscritto, ho trattato l’argomento per dire alcune verità in proposito, mi sono sentita rispondere che tutto serve, tutto è propaganda ed ho sentito crearsi nei miei rispetti il giudizio di scettica e quasi quasi di disfattista. Volete imparare?… andate nelle case dove ci sembrerebbe impossibile vivere e dove invece vi è tanta onestà, probità, rassegnazione, nobiltà. Chi entra nelle case a portare una notizia di un combattente può dirlo; chi ha visto le donne più povere scucire la federa per togliere tra la molta paglia la poca lana da offrire alla Patria, può dire se, entrando in quelle case, si insegna o si impara. Impariamo ‘Signore’, impariamo. Da novembre del 1942 gli anglo americani cominciano a bombardare i centri urbani: Milano, Torino, Savona, Genova, Bologna vengono martellate ogni giorno e quando la popolazione civile si vede crollare addosso case e palazzi, quando ai figli perduti in guerra si aggiungono le morti atroci dei bambini e degli anziani, gli italiani si scuotono. E’ come svegliarsi da un sogno orribile per constatare che la realtà è peggiore del sogno stesso. A nulla servono gli appelli alla calma. Donna Wanda non nasconde che il momento è difficile «non è il primo di questa guerra in cui sono in lotta il vecchio e il nuovo, il passato e l’avvenire, la libertà e la schiavitù» Ma la gente non ascolta più. Troppe promesse non mantenute, troppe illusioni, troppi sogni per un Paese in cui non tutti potevano permettersi due pasti al giorno. Donna Wanda lo sapeva, ma non si arrende, non vuole arrendersi. «Ci fu il momento» scrive il 25 novembre 1942 «dell’entusiasmo facile e allora tutti furono fascisti. E ostentavano il distintivo. Ci fu il momento difficile e molti distintivi scomparvero, inavvertitamente dimenticati, perduti, lasciati sull’altra giacca. Fu il momento nel quale si aveva la tessera nel cuore e, al tempo sereno, tutti i distintivi fiorivano all’occhiello». «Oggi, i tempi sono quelli che sono. Oggi occorre farci vedere e non nasconderci. Dimenticare a casa il distintivo oggi, quando ogni nostro pensiero deve essere rivolto al combattimento e alla resistenza, vuol dire perlomeno essere distratti dallo scopo della nostra giornata. E certe distrazioni in certi momenti sono significative e vanno accuratamente registrate; e rapidamente eliminati devono essere gli smemorati e i dimentichi i quali poi, generalmente, sono quelli stessi che dal Fascismo hanno avuto salva la pelle, i beni, le idee, gli affetti». Cinque mesi dopo, il 6 giugno 1943 un infarto fulminante stronca la vita di Raffaele Gorjux, marito di Donna Wanda che firma il suo ultimo editoriale il 3 luglio. Non scriverà mai più: la parola ‘trasformismo’ non faceva parte del suo vocabolario. Nel 1945 processata dalla Commissione di epurazione, è condannata a due anni di confino da scontarsi ad Agropoli, un paese della Campania. Sconterà solo otto mesi. Donna Wanda si spegne a Bari il 29 giugno 1976 scegliendo di eclissarsi in un anonimo appartamento di via Crisanzio in quella che è stata la sua abitazione per 33 anni.