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“Brama” di Ilaria Palomba ci introduce nel mondo interiore di un intenso personaggio femminile, Bianca, il cui nome sembra ironicamente contrapporsi alla sua naturale propensione verso l’oscurità. L’autrice presenta una storia che viaggia tra passato e presente per raccontarci di un’anima tormentata e smarrita, che ha sempre fatto i conti sin dall’infanzia con il male di vivere. Bianca è cresciuta con un padre solitario e distaccato e con una madre morbosa che l’ha soffocata di attenzioni sbagliate – «La bambina che cerca suo padre e suo padre non è mai lì per lei. La bambina che chiede a suo padre un abbraccio e suo padre le dice di leggere più libri, di imparare a parlare un italiano forbito, a vestirsi a modo. La bambina che cerca sua madre e sua madre c’è solo quando la bambina sta male, e la bambina sviene, ha la febbre, si rovescia in testa piatti sporchi di sugo, esce in strada nuda, si fa venire crisi epilettiche, cammina sui cornicioni dei palazzi, si fa fare diversi TSO». Bianca ha reagito nel modo peggiore alla sua sofferenza interiore: facendosi male, ferendo il suo corpo e tentando anche il suicidio più di una volta; i ricoveri in psichiatria le donano ogni volta una possibilità di rimettersi in piedi perché lei non è ancora un caso senza speranza, ma lei sembra ostinata ad annullarsi, soprattutto da quando ha perso l’oggetto del suo folle desiderio. In un seminario su Heidegger ha incontrato il professore e filosofo Carlo Brama, di vent’anni più grande di lei, e ciò che l’ha legata a lui non è stata una sana passione ma una vera e propria ossessione di inglobarlo in sé – «Desidero essere lui, e l’ha capito sin dal momento in cui gli ho rivolto la parola. Forse ha pensato di fottermi alla grande. Sono certa che ci riuscirà. Non abbiamo messo in conto che ci fotteremo entrambi in questa insensata sfida». Un rapporto nato su tali presupposti degenera inevitabilmente ma Bianca non l’accetta e si ferisce ancora, perché l’indifferenza che lui le dimostra dopo averla lasciata la dilania. Le illusioni di Bianca si frantumano una ad una, mentre ella riflette su sé stessa e sulla sua insensata brama che la sta prosciugando; il lettore viene ipnotizzato dal suo inarrestabile flusso di coscienza che mescola meravigliosamente amore e odio, lucidità e follia – «Stai lì, nella frattura. Questa è la storia di chiunque, sono storie di solitudini, identità svuotate, significazioni frantumate. È così che s’impazzisce».

Redazione

Lsd sta per Last smart day, ovvero ultimo giorno intelligente, ultima speranza di una fuga da una cultura ormai completamente omologata, massificata, banalizzata. Il riferimento all'acido lisergico del nostro padre spirituale, Albert Hofmann, non è casuale, anzi tutto parte di lì perché LSDmagazine si propone come cura culturale per menti deviate dalla televisione e dalla pubblicità. Nel concreto il quotidiano diretto da Michele Traversa si offre anzitutto come enorme contenitore dell'espressività di chiunque voglia far sentire la propria opinione o menzionare fatti e notizie al di fuori dei canonici mezzi di comunicazione. Lsd pone la sua attenzione su ciò che solletica l'interesse dei suoi scrittori, indipendente dal fatto che quanto scritto sia popolare o meno, perciò riflette un sentire libero e sincero, assolutamente non vincolato e mosso dalla sola curiosità (o passione) dei suoi collaboratori. In conseguenza di ciò, hanno spazio molteplici interviste condotte a personaggi di sicuro spessore ma che non trovano spazio nei salotti televisivi, recensioni di gruppi musicali, dischi e libri non riconosciuti come best sellers, cronache e resoconti di sport minori, fatti ed iniziative locali che solitamente non hanno il risalto che meritano. Ma Lsd è anche fuga dal quotidiano, i vari resoconti dai luoghi più suggestivi del pianeta rendono il nostro magazine punto di riferimento per odeporici lettori.