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L’onda lunga della pandemia da COVID ha prodotto notevoli ricadute sulla salute mentale. In questi lunghi mesi, centinaia di indagini sono state condotte a livello internazionale per quantificare gli effetti negativi che il COVID-19 sta avendo sul benessere psicologico. Numerosi sono i sintomi comportamentali descritti, sia in chi è stato contagiato dal virus, sia in chi, invece, è stato vittima di fattori indiretti come: lunghi periodi di quarantena, perdita del sostegno sociale e sovraesposizione a fenomeni di infodemia. Tutte le ricerche scientifiche svolte nell’ultimo anno sono concordi nell’indicare che la pandemia e le misure di quarantena stanno seriamente impattando la salute mentale. Questo ha sopraffatto i sistemi sanitari di molti paesi e, naturalmente, ha colpito gli operatori sanitari che combattono in prima linea.
“Quando COVID-19 ha colpito per la prima volta, i professionisti della salute come psicologi e psicoterapeuti non erano considerati “servizi essenziali”. Questo significava che gli psicologi non erano autorizzati a vedere i clienti faccia a faccia, e tutte le sessioni dovevano essere spostate su piattaforme di telemedicina. D’altra parte, l’aumento dei problemi di salute mentale durante l’epidemia di COVID-19 ha ulteriormente rafforzato il bisogno generale di assistenza. In questo contesto, si è entrati, forzatamente e velocemente, in una nuova era di telepsicologia, senza però avere dati scientifici e una reale guida metodologica su come traslare gli interventi di persona in interventi online”, afferma Antonio Cerasa, neuroscienziato del l’Istituto per la ricerca e l’innovazione biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche di Messina (Cnr-Irib).
Per rispondere al bisogno di conoscere in dettaglio come la pandemia ha cambiato il lavoro di psicologi e psicoterapeuti, il Cnr-Irib, in collaborazione con l’Università della Calabria e Università Magna Graecia di Catanzaro, ha intervistato, tramite un questionario online, oltre 200 psicologi per comprendere come questa pandemia abbia influito sulla loro attività clinica. Lo studio è stato pubblicato su Journal of Affective Disorders Report.
Durante i vari lockdown, gli psicologi italiani hanno ammesso che la pandemia ha fortemente influito sulla loro pratica clinica (60%) e per questo che la maggior parte (85%) ha utilizzato le varie forme di modalità online per continuare il lavoro terapeutico sui pazienti. Il 65% degli intervistati ha rilevato di non aver avuto particolari problemi nella traslazione alla telepsicologia, così come la maggior parte dei loro pazienti ha riportato un feeling positivo con questa nuova modalità di rapporto clinico. Quasi il 60% degli psicologi ha rilevato un aumento nel numero di nuovi pazienti, i quali, per la maggior parte non erano stati mai infettati dal virus. Questa nuova ondata di pazienti è stata caratterizzata prevalentemente dalla presenza di sintomi specifici quali: ansia, depressione e disturbi del sonno. Anche nei pazienti già in trattamento si è notata una recrudescenza di sintomatologie pregresse durante la pandemia sempre relativamente a queste tre tipologie di sintomi. Infine, un altro dato interessante che gli psicologi hanno rilevato durante il sondaggio riguarda la tipologia di pazienti che faceva ricorso a nuove cure post-pandemia. Il profilo più vulnerabile alle nuove forme di disturbi psicologi sono le donne, impiegate, con bassa scolarità, di età tra i 26 e i 45 anni, non sposate.
I risultati di questo studio possono fornire strumenti ai decisori politici per orientare al meglio gli interventi a sostegno della salute mentale.