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Idisturbi alimentari rappresentano un problema di sanità pubblica emergente nella società moderna. L’esordio è sempre più precoce nei ragazzi e i fattori influenti sono complessi e svariati.
Durante la pandemia da Covid-19 le persone affette da tali disturbi, in particolare da bulimia nervosa, anoressia nervosa e disturbo da alimentazione incontrollata o binge eating, si sono ritrovate ad affrontare la loro condizione in una maniera inaspettata. Infatti, il cambio delle dinamiche quotidiane e dello stile di vita influenza parecchio i comportamenti patologici.
Vediamo come la peculiare situazione attuale, e in particolare il regime di lockdown, rinforza i pattern psicopatologici.
“In primis questi soggetti presentano un rischio di ricaduta o peggioramento della gravità del loro disturbo”, spiegano gli esperti del portale PsicologiOnline.net,.
L’isolamento sociale genera tensioni e paure; da qui scaturisce una sensazione di perdita di controllo con un conseguente aumento delle restrizioni alimentari e delle condotte di eliminazione nonché vomito autoindotto e uso di lassativi.
Un altro aspetto è il rapporto con l’attività fisica, che in alcuni casi viene limitata per questioni logistiche e in altri viene incrementata in maniera esagerata; in ogni caso, si tratta di comportamenti associati a una forte paura di perdere il controllo sul proprio peso e sulla propria forma fisica.
L’esposizione a grandi quantità di scorte di cibo, che in molti hanno comprato durante la quarantena per sentirsi al sicuro, rappresenta un fattore scatenante le abbuffate.
In più, la convivenza prolungata con i familiari, a cui si accompagna la sensazione di non potere evadere da un ambiente ristretto e pressante, contribuisce ad aumentare l’isolamento e i comportamenti patologici.
Oltre a questi fattori va tenuto in conto che chi soffre di un disturbo del comportamento alimentare è particolarmente sensibile allo stress legato alla pandemia ed è quindi più probabile in questi casi sviluppare o accentuare comorbilità organiche e psichiatriche.
È vero anche che il rischio di infezione da Coronavirus è maggiore per via della malnutrizione, del sistema immunitario debole e degli squilibri elettrolitici di tali soggetti.
Uno dei punti più problematici in questo contesto è l’inadeguatezza dei trattamenti psichiatrici o psicologici offerti durante la pandemia. Molti interventi intensivi che si tenevano in strutture ospedaliere o residenziali sono stati annullati per questioni di sicurezza.
Le terapie online,seppur introdotte tempestivamente, si sono rilevate carenti in alcuni aspetti in quanto spesso gli operatori non hanno avuto l’opportunità di formarsi in maniera appropriata per fornire un servizio a distanza del tutto funzionale ed efficace. Visto il rischio di peggioramento clinico e di perdita del contatto medico-paziente, emerge la necessità di progettare nuove modalità di trattamenti che tengano in conto delle implicazioni dell’isolamento sociale sui disturbi alimentari.
Per fornire una migliore assistenza agli individui con disturbi alimentari e ai loro cari, l’istituto Superiore di Sanità con il Ministero della Salute ha lanciato il progetto Manual, che prevede una mappatura dettagliata delle strutture pubbliche e convenzionate e delle associazioni specializzate in disturbi dell’alimentazione su scala nazionale.
In merito all’impatto psicopatologico del Covid-19 sui pazienti con disturbi alimentari, uno studio longitudinale italiano ha dimostrato come la pandemia sia stata una vera minaccia per la salute mentale, in particolare nei soggetti più delicati.
I più vulnerabili secondo questa ricerca sono gli affetti da bulimia nervosa: le ragioni sarebbero le limitazioni dei programmi di trattamento presenziali e le difficoltà riscontrate nelle terapie online, la presenza di abbondante cibo in casa che funge da tentazione per le abbuffate o l’ansia generata da non avere scorte a sufficienza, l’uso eccessivo delle reti sociali che contribuiscono a una percezione alterata del proprio corpo e le emozioni sorte dal forte stress.
Gli affetti da anoressia nervosa, invece, hanno mostrato risultati controversi: da un lato pare abbiano preso peso durante la quarantena, segno positivo che potrebbe essere dovuto anche all’efficacia dei trattamenti – i presenziali effettuati prima del lockdown più quelli telematici-, dall’altro pare che abbiano sperimentato un’esacerbazione del comportamento ossessivo dell’esercizio fisico compensatorio e pare anche che ci siano stati molti casi di crossover diagnostico, che sta a indicare la trasformazione di anoressia in bulimia.
Dunque, si è riscontrato un aumento dei comportamenti disfunzionali e un’interruzione della tendenza al miglioramento dei sintomi sia negli affetti da bulimia sia in quelli affetti da anoressia, ma in quest’ultimi l’impatto negativo del Covid-19 è stato minore.
I pazienti affetti da binge eating hanno sperimentato un aumento della gravità della patologia.
Interessante, in ultimo, che i pazienti affetti da disturbi alimentari non abbiano mostrato un aumento di ansia, tristezza, insonnia e problemi mentali che sia superiore a quello della popolazione generale, probabilmente perché, essendo tendenti all’isolamento sociale per via della loro patologia, potrebbero essere meno sensibili agli effetti del lockdown.
Una ricerca inglese pubblicata su Lancet lo scorso Febbraio ha provato come la pandemia abbia causato un generale incremento di stress post-traumatico, rabbia, confusione, ansia, depressione e altri effetti psicologici negativi nella popolazione. Tra i fattori stressanti che hanno scaturito tali conseguenze ci sono la paura dell’infezione, la mancanza di informazioni adeguate, la perdita economica, la noia e la frustrazione. Inoltre, in uno stato di distress psico-emotivo come quello che molti hanno sperimentato in quarantena, è più probabile che sorga ex novo un disturbo dell’alimentazione o una dipendenza da sostanze come fumo, alcol o psicofarmaci.
Per saperne di più su questa e altre tematiche consigliamo di consultare il sito internetwww.PsicologiOnline.net.