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Afghanistan, la terra degli afghani, lì fra le mitiche montagne dell’Hindukush dove inglesi e sovietici persero la faccia, dove perfino Alessandro il grande non ne uscì proprio in trionfo. Da quasi dieci anni ormai, stessa sorte per le forze alleate ONU dell’ ISAF, sotto la regia americana.
Un territorio aspro ed enorme , governato da millenni dalle tribù di etnia pasthun e tagika, che non riconosce altro potere se non il loro. O il moderno business dell’oppio. L’operazione detta di peacekeeping delle forze alleate, inconcludente e sanguinosa, sembra un errore storico, prima che politico. La missione enduring freedom, iniziata all’indomani dell’attentato alle "torri gemelle" si è trasformata nel corso degli anni in una vera e propria esportazione di democrazia; pur non riuscendo a controllare che una piccola parte del paese.
Non vedo proprio come si possa trapiantare una democrazia commerciale su di un popolo ed uno stato che da millenni vive e perpetua altri usi e costumi. Non capisco che democrazia sia "esportare la democrazia", con bombardamenti e contingenti militari armati fino ai denti, anche se necessari per ripulire il territorio. Sarebbe stato necessario uno "strike" chirurgico, netto e decisivo, contro talebani e alleati, per poi tornarsene a casa e non restare nella melma della solita "palude" asiatica. Si sarebbe così evitato un colossale spreco di risorse umane e denaro, utilizzabile per fini più intelligenti e lo sconsolato pianto di migliaia di madri. Vero che adesso gli afghani hanno un governo democraticamente eletto, ma questo non è sufficiente a considerarlo un paese civile o bonificato. Quello che non è stato risolto in dieci anni, dubito si risolva con un altro anno. Le forze ISAF aumentano i contingenti, anche quello italiano, come se volessero portarsi a casa i sassi e la neve delle fastose montagne dell’Hindukush.