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E’ un piccolo miracolo: Valleys of Neptune, la cui pubblicazione è prevista per il 5 marzo, è una raccolta di 12 registrazioni inedite di Jimi Hendrix, curate da Eddie Kramer, storico ingegnere del suono nonchè uno dei collaboratori più fidati dell’artista fin dai tempi di ‘Are you experienced?’.
James Marshall Hendrix è stato il più geniale chitarrista della storia. Jimi, che era un amante appassionato di fantascienza, ha attraversato l’universo della musica con l’esplosività di una creatura di luce di Philip Dick: dopo una dura gavetta, la sua carriera di star è durata poco più di quattro anni ma ha cambiato il mondo.
Vittima di un contrasto capestro e di una gestione folle delle tournee, si è consumato in una vita di eccessi e di creatività bruciante fino a che il 18 settembre 1970, a 28 anni, è morto soffocato dal proprio vomito, mentre chi avrebbe dovuto soccorrerlo, dalla donna che dormiva con lui agli infermieri, ha commesso un’incredibile serie di irresponsabili stupidaggini.
Proprio per il disordine in cui annegava la sua carriera di genio, Hendrix è stato anche l’artista più saccheggiato della storia: da dopo la sua morte le sue registrazioni sono state pubblicate in ogni possibile forma, da quella accurate dell’imperdibile confanetto Jimi Hendrix Experience Box Set ai bootleg dei concerti (tra i più belli di sempre quello al Winterland di San Francisco) fino alle sacrileghe registrazioni completate da altri musicisti.
Uno scempio terminato da poco, da quando i familiari hanno fondato la Experience Hendrix LLC, di cui è Ceo la sorella Janie, che ora gestisce l’eredità del ‘Voodoo Child’. Per questo la pubblicazione di Valleys of Neptune è un piccolo miracolo. Che ci sia ancora del materiale inedito è una sorpresa e probabilmente dietro c’è Eddie Kramer, che si era portato via tutto il possibile.
Alcuni dei pezzi sono registrati nel 1969 e sono gli ultimi incisi con Mitch Mitchell e Noel Redding, la storica Experience, Di lì a poco avrebbe chiamato Billy Cox al basso, un suo vecchio amico, poi Buddy Miles alla batteria, quindi avrebbe formato The Band of Gypsies, ma è noto che inseguiva il sogno di una musica orchestrale, sotto l’influenza di Gil Evans che avrebbe voluto incidere un disco con lui e Miles Davis, che rifiutò ma poi per l’ultima parte della sua carriera costrinse i chitarristi della sua band a suonare alla Hendrix. Jimi era un genio del suono oltre che un virtuoso della chitarra: è stato il primo chitarrista ad andare oltre le possibilità del suo strumento, inventando diteggiature, effetti, pedali (il wha wha), nuovi magneti (era un consulente della Fender), tra i primissimi a utilizzare il feed back come uno strumento. L’inno americano suonato a Woodstock resta uno dei più potenti monumenti alla creatività rock della storia.
Per lui lo studio di registrazione era un secondo strumento: in un’epoca in cui otto piste erano il massimo della tecnologia, realizzava sovra-incisioni e scavava nei pezzi come uno scienziato illuminato da una visione, sempre ben ancorato alle 12 battute del blues che lui conosceva come pochi altri. Per questo l’apertura dei suoi studi, gli Electric Lady nel Village di New York, era la realizzazione di un sogno. Che purtroppo durò pochi mesi.
Ora queste 12 registrazioni richiamano l’attenzione sul suo metodo di lavoro e, ancora una volta, è persino difficile trovare le parole per giudicare un artista che viaggiava molto più avanti del suo tempo, che scavando nella musica nera, aveva scoperto la lingua del futuro. E che irrompe nel 21/o secolo con la forza del mito.