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Vi sono giorni, nella storia di ogni Paese, che per il concatenarsi di vicende e avvenimenti tragici o lieti, restano scolpiti nella memoria collettiva come su una lapide marmorea. E sabato 15 aprile, esattamente un mese dopo la strage e il rapimento di Aldo Moro, è una di quelle giornate. Alle 13.20 vicino alla cittadina di Vado, parte di un’intera collina frana su un viadotto di 12 arcate nel tratto ferroviario fra Bologna e Firenze. Alle 13.30, sul viadotto, arriva il treno 572bis, Lecce-Milano, che riesce a fendere il cumulo di terra ma la motrice di testa sbanda e invade il binario parallelo. Pochi minuti dopo, il rapido 813, proveniente da Verona in località Murazze piomba sul treno deragliato come un proiettile: è la più grande sciagura ferroviaria del Paese dall’invenzione della locomotiva. Sulla scarpata verde, fradicia di pioggia ci sono delle grandi macchie rosse di sangue e brandelli di corpi umani. Non c’è tempo per l’orrore, dentro i resti dei vagoni ferroviari squarciati, ci sono centinaia di persone che urlano, piangono, imprecano e altre ancora che scivolano fuori dai finestrini e vagano fra i cadaveri in una sorta di allucinazione collettiva.48 morti, 120 feriti è il bilancio di una tragedia che forse si poteva evitare poiché – assicurano gli abitanti di Vado – nella zona, frane e smottamenti avvenivano da sempre con frequenza impressionante e non è mai stato fatto nulla per prevenirli.
Sei ore più tardi quattro telefonate anonime, nelle solite città ed ai medesimi organi di stampa, annunciano il sesto comunicato delle BR, anzi, fanno di più, anticipano il titolo che appare su tutti i quotidiani il mattino successivo: Moro condannato a morte.
Il cosiddetto caso Moro – scrive Oronzo Valentini – è un caso di così vitale importanza per la vita e il futuro della democrazia italiana che la più corretta ed esatta definizione dovrebbe essere ‘caso Italia’… se in tanti, tantissimi, desideriamo, vogliamo, chiediamo che egli sia salvato è anche per questo, perché egli non può mancare quando, superata la crisi, occorrerà rinvigorire l’organismo, rialzarsi e camminare per vie nuove, più sicure, più ardite e più garantite al tempo stesso. Questo obiettivo vale certamente un prezzo, l’impegno a pagare il più alto prezzo che sia compatibile con la dignità dello Stato… facciamo nostra l’affermazione dell’onorevole Luigi Pintor: ‘Dobbiamo fare tutto il possibile per salvare la vita di un uomo. Soltanto se loro ti chiedono una cosa impossibile, allora deciderai di non farlo. Non prima’. Neppure su questo sesto comunicato c’è traccia di che cosa i brigatisti vorrebbero per liberare lo statista.
Per tre giorni il Paese intero resta con il fiato sospeso. Sul piano delle indagini si è al punto di partenza, cioè a zero; sul fronte della linea morbida, il consenso si va allargando. La DC e la famiglia Moro lanciano un appello umanitario; è pronta ad intervenire ‘Amnesty International’ e la ‘Caritas’; Amintore Fanfani auspica l’intervento di ‘uomini saggi’; il Presidente degli Stati Uniti e dell’ONU – Jimmy Carter e Kurt Waldheim – offrono… incrollabile appoggio alla lotta contro il terrorismo, solidarietà al popolo italiano, e alla famiglia Moroad ogni iniziativa utile ai fini della liberazione di Moro, obiettivo che deve essere considerato come uno dei doveri fondamentali dello Stato; ancora più accorato infine, l’appello del Vaticano: In nome di Dio, che conosce le angosce e le sofferenze di tutti… non spargete altro sangue, non uccidete più. Il problema più arduo è che chiunque abbia capacità e possibilità per una iniziativa umanitaria, non può che attendere immobile: nessuno ha il benché minimo indizio di come ‘arrivare’ all’interlocutore.
Oggi 18 aprile 1978 si conclude il periodo dittatoriale della DC. In concomitanza con questa data – nel 1948 la DC di De Gasperi vince il confronto con il PCI di Togliatti – comunichiamo l’avvenuta esecuzione del Presidente della DC… la salma è immersa nei fondali limacciosi del lago della Duchessa in Abruzzo.
Il comunicato, il settimo, arrivato a Roma alle 9.30 del mattino è così agghiacciante che nessuno vuole crederci e tuttavia per due giorni, si setaccia l’intera zona indicata dai brigatisti. Niente, nessuna traccia. A poco a poco, ci si convince che il ‘messaggio’ è falso, sicuramente un depistaggio per allentare la pressione su Roma e poter trasferire l’ostaggio da un ‘carcere del popolo’ ad un altro. Proprio quel giorno infatti, ma proprio per caso, gli inquirenti hanno trovato, in via Gradoli, un ’covo’ che certamente ha ospitato un nucleo dei rapitori-killer.
Il 19 aprile, esponenti di tutta la DC pugliese si incontrano con Zaccagnini per esortarlo… a fare di più. Se è vero che c’è un filo di speranza;il 20 un folto gruppo di amici pugliesi di Moro si dichiara disposto a intraprendere contatti con le BR… indicateci i termini per il rilascio del Presidente; le adesioni alla trattativa per salvare Moro sono decine di migliaia, ma la domanda che nessuno ha il coraggio di porsi è: Moro è ancora vivo? Sì, è vivo, ma la strada delle BR è ancora disseminata di cadaveri. Alle 7.15 del mattino di giovedì 20 aprile, il maresciallo di PS Francesco Di Cataldo di Barletta, guardia carceraria a San Vittore, a Milano, viene ucciso con un preciso colpo in testa… era un torturatore dei detenuti è la motivazione dell’esecuzione rivendicata dai brigatisti. Due ore dopo a Torino, Genova e Milano, arriva il vero comunicato nr. 7… il rilascio del prigioniero Aldo Moro può essere preso in considerazionesolo in relazione alla liberazione di prigionieri comunisti. La DC e il suo Governo hanno 48 ore di tempo per farlo a partire dalle 15 del 20 aprile. Trascorso tale termine, e in caso di una ennesima viltà… ci assumeremo la responsabilità dell’esecuzione della sentenza emessa dal Tribunale del popolo.
Il fatto nuovo è che per la prima volta i brigatisti accennano a uno scambio di ‘prigionieri’ e la tragedia è che, se le posizioni dei partiti, sia pure con qualche distinguo, erano rigide prima, adesso sono diventate ferree. Sono vere due cose: c’è un grandissimo spiegamento di umana sensibilità per salvare la vita di Aldo Moro e c’è anche una ferma opposizione a non trattare confortata dall’assenza del mezzo giuridico: nessuna legge neppure quella che fa riferimento ad una azione in stato di necessità può consentire allo Stato di liberare detenuti sotto processo senza mettere in gioco le prerogative statuali.