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Quali sono gli uomini ordinari e quali quelli straordinari? Un delitto è ammissibile se compiuto per una giusta causa? Essere artifex del proprio destino o affidarsi a un fato immutabile e ingiusto? Questi e molti altri quesiti sono i punti chiave e di snodo della vicenda di un uomo, un uomo non qualunque, ma protagonista di una storia “straordinaria” sull’esistenza umana: la ricostruzione psicologica di un assassino Rodion Romanovic Raskol’nikov in seguito al compimento del delitto di una vecchia usuraia – Alena Ivanovna. Rodion è il personaggio principale di “Delitto e Castigo” (1866) dello scrittore russo Fedor Dostoevskij, un testo quanto mai attuale, intriso di psicologia, storia, riflessioni sull’uomo, su Dio, sulla coscienza e sul senso di colpa. “Delitto e Castigo” è stato messo in scena al Teatro del Navile di Bologna il 15 febbraio 2015, con la regia di Nino Campisi, la drammaturgia di Ippolito dell’Anna e gli attori della Compagnia Teatro Studio. Lo spettacolo insegue il delirio di Rodion (Ippolito dell’Anna), percorrendo il percorso cronologico dei suoi pensieri attraverso lo scorporamento delle visioni e la frammentazione delle immagini. La scenografia è una struttura stratificata“a scatole apribili”, la riproduzione del labirinto di una mente contorta, ma lucida, geniale, ma incompresa. Il ritmo del racconto è scandito dalle immagini che riprodotte su una scena mobile sono come fotogrammi di ricordi e segmenti di dettagli. I meccanismi della fruizione si sdoppiano tra ciò che accade nell’hic et nunc della scena e ciò che avviene nella mente di Rodion: l’intimità di Rodion è letteralmente sradicata dall’interiorità del personaggio e messa a nudo nella successione dei “ritratti” cinematografici proiettati che si sovrappongono alle silhouette degli attori sul palco. L’avvicendarsi dei fatti da lento e trascinato diventa incalzante e intrigante, assume le sembianze di un giallo di cui si conoscono già gli esiti. Tuttavia i processi di indagine psicologica e di risoluzione del giallo si impongono e precorrono i fatti – già resi noti nelle immagini – creando un bagaglio di aspettative nello spettatore, grazie alle domande strategiche dagli effetti vertiginosi poste dal commissario (interpretato con impeccabile e notevole naturalezza da Fabio Garau). Raskol’nikov figlio della crisi economica, sociale e morale che colpiva la Russia dalla prima metà dell’Ottocento in seguito allo sconvolgimento della vecchia società feudale, è costretto a vendere a poco prezzo oggetti di alto valore affettivo a una vecchia usuraia (Maria Letizia Pascoli). Quando conosce Marmeladov (Maurizio Corrado) uomo in crisi e affetto d’alcolismo, scopre anche la triste sorte della figlia di quest’uomo Sonja (Agnese Corsi). Costretta a prostituirsi e a sacrificare la sua vita per mantenere la famiglia, la giovane donna si definisce come il correlativo oggettivo dell’assunzione e successiva espiazione di colpe per Rodion. Raskol’nikov intrappolato dentro un delirio coscienzioso e allucinatorio uccide la vecchia usuraia per “rimuovere l’ostacolo”, quello stadio esistenziale fuorviante e fastidioso che non gli permette di vivere, uno stato psichico incontrollato, risultato dell’accumulo di sentimenti negativi, rabbia, orgoglio e paura, sintomi della “febbre” di una società disagiata, malsana e caduta nel vizio della miseria. “Delitto e Castigo” di Nino Campisi rivisita il testo di Dostoevskij, lo ripercorre, sviscera le psicologie e le azioni dei personaggi, le scaraventa su un palco popolato di presenze-assenze che interagiscono con la concretezza del nucleo semantico del linguaggio. La traslazione e scambio di flussi di dialogo evocano echi di pensieri, topoi e fobie dell’immaginario comune. Un flashback nel passato Ottocentesco con le musiche dei musicisti russi Caikovskij e Igor Stravinskij (a cura di Maria Letizia Pascoli) è accompagnato dalla variazione cromatica delle immagini, che alternano alla luminosità dei colori il bianco e nero tipico delle vecchie pellicole cinematografiche. La dichiarazione di Rodion del delitto compiuto avviene per tappe, ma non diventa mai ammissione di colpa o di pentimento. Soltanto l’assillo e l’ossessione della coscienza umana, lo portano a capire che uccidendo l’usuraia Rodion ha ucciso il suo tormento, l’essenza di se stesso. Il testo dell’autore russo spinge il lettore-spettatore a fare i conti con la parte più oscura di noi stessi, quella che avremmo vergogna a esternare, quella che ci distinguerebbe come uomini straordinari. Tuttavia per dirla con le parole di Rodion “l’uomo è un mistero difficile da risolvere. Io voglio cercare di comprendere questo mistero, perché voglio essere un uomo”. Lo spettacolo del Teatro Studio diventa così un teatro-schermo, specchio di una società e di ogni uomo, una messa in scena tutto sommato tradizionale, ma che fa scatenare meccanismi di riflessione latenti nell’inconscio di menti turbate o ingegnose. Una drammaturgia e una regia che puntano alla potenza del verbo, all’efficacia e all’impatto delle battute di un testo dell’Ottocento sul presente.