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“Non sopporto più di sentirmi dire che non è questo il pezzo da interpretare; io oggi sai che faccio? Scrivo come mi pare!” (da “Spirito libero”)
Sappiamo di correre un grosso rischio nell’ammetterlo ma occorre essere sinceri: nel nostro inconfessato personalissimo immaginario abbiamo sempre pensato che questa frase di Giorgia fosse dedicata a noi o, quantomeno, a quanti – come noi – si ostinano ancora oggi a volersi creare un’artista dei propri desideri, una sorta di “Giorgia on my mind”, tanto per richiamarci al rebus che quei mattacchioni degli Elii, parafrando l’immortale song, le dedicarono durante la registrazione di “T.V.U.M.D.B.”; la “nostra” Giorgia, ad esempio, ha i colori del jazz e del blues più radicali, quelli che la fanno duettare con gente del calibro di Herbie Hancock (se vi volete bene, riscoprite quel capolavoro che è il brano “Il mare sconosciuto”). Poi, una domenica di fine luglio, tutte le nostre – invero flebilissime – osservazioni sono crollate quando, giunti in quel di Molfetta per l’evento organizzato dalla Fondazione Valente, ci siamo trovati di fronte ad una serie di miracoli, che nemmeno un intero conclave sarebbe riuscito ad inanellare: per tutti, concedeteci almeno di ricordare la pioggia che si allontana qualche minuto prima dell’inizio del concerto, poi la folla oceanica che affollava la banchina di San Domenico, e, soprattutto, la sublime voce della Signora Giorgia Todrani, che se non è propriamente un miracolo di certo è un immenso dono del Cielo, unica al pari dell’ugola dell’altra Divina Creatura – da sempre in cima alle nostre classifiche – che il mondo chiama Mina. Ecco, come per Mina anche per Giorgia ci piace ripetere che se la cicogna fosse volata da qualche altra parte, depositando il prezioso fardello magari oltreoceano, oggi il mondo intero sarebbe ai suoi piedi e noi non dovremmo ogni volta arrovellarci sulla presunta inadeguatezza delle canzoni che incide, come del resto abbiamo sempre fatto anche con la mitica Tigre di Cremona (ché di cose ritenute “non all’altezza”, in fin dei conti, ne ha fatte anche lei, eccome!). Ma, a seguito dei suddetti miracoli, quasi senza accorgercene, siamo stati irretiti nel più canonico dei “ma chi se ne frega”, prima di scoprirci anche noi – e questo sì è sconvolgente – sballottati come palline di flipper tra energia allo stato puro ed emozioni da pelle talmente increspata da far concorrenza alla cartavetrata, grazie ad uno spettacolo di altissimo livello, con tanto di cambio abiti, luci e laser ipnotici ed una scaletta che conquista, in cui, oltre ad una nutrita rappresentanza di brani dell’ultimo lavoro discografico “Senza paura”, trovano posto anche gli evergreen “Girasole”, “Gocce di memoria”, “Come Thelma e Louise”, “Di sole e d’azzurro” (bella da togliere il fiato!), l’immancabile “E poi” preceduta da divertite e divertenti cover di Lorenzo Jovanotti e Laura Pausini, il tutto supportato da una straordinaria quanto collaudata band capitanata dal mastodontico Sonny T, che si lanciava persino in una versione funky del tormentone “Happy”. Ce ne sarebbe per far montare la testa a chiunque; invece un altro prodigio della vocalist romana è proprio quello di restare una “amica della porta accanto”, sempre simpatica, addirittura deliziosa quando, scesa dal palco per esibirsi nel bel mezzo della osannante platea, fa cantare al suo microfono le ragazzine spiritate o quando ferma il concerto per accogliere in dono un girasole o per farsi fotografare da una piccolissima fan, talmente simpatica e semplice da non sembrare la stessa persona che, un attimo prima, ha realizzato tutti quei tripli salti mortali con la voce, allungando le note a suo piacimento in un esercizio che a noi – comuni mortali – farebbe venire un embolo fulminante; che poi, a pensarci bene, anche questo impossibile esercizio lei lo sciorina come fosse la cosa più semplice al mondo, come se stesse solo respirando o bevendo un bicchiere d’acqua. Ma sì, Giorgia, in barba alle nostre misere dietrologie, ha vinto ancora una volta, dimostrandoci che ha ragione lei a cantare quello che le pare; tanto noi resteremmo affascinati schiavi della sua voce anche se si decidesse a mettere in musica l’elenco telefonico.