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Se la scelta di alimentarsi con i principi vegani è fatta, il passo successivo è quello di selezionare un abbigliamento realizzato secondo la stessa filosofia. In Italia cominciano a nascere nelle grandi città i primi negozi di moda 100% vegan, e con questi arrivano anche i primi marchi specializzati in questo tipo di abbigliamento, come "Kerol D", che realizza la sua linea attenendosi ai principi vegani. Ma come riconoscere un abito o una borsa 100% vegan? Intanto la prima cosa da controllare è l’etichetta, facendo attenzione che il prodotto non contenga parti animali e derivati. Ovviamente le pellicce non rientrano nel guardaroba di "lady vegan", ma bisogna fare attenzione anche ai dettagli e inserti di pelliccia (polsi, cappucci), tollerati se si tratta di pelo sintetico.

Particolare attenzione, per la vegana praticante, nei confronti della pelle di scarpe e borse. A tal proposito le alternative in commercio sono le più disparate.  Tra i prodotti sintetici troviamo alcantara, eco-pelle, gomma, e i materiali "high-tech" di nuova concezione. D’estate si può optare per i modelli di tela, corda e tessuti traspiranti. Sul web basta sbirciare nel database dei prodotti di "VeganHome". Ma come riconoscere le scarpe "veg" in vendita nei negozi? Occorre esaminare l’etichetta che contiene le informazioni sulla composizione delle tre parti della calzatura, distinte con tre simboli. Il primo indica il materiale della tomaia, il secondo si riferisce al rivestimento interno, il terzo specifica di cosa è fatta la suola. Se uno dei tre simboli è quello del cuoio, la vegana può rimettere giù la scarpa. Una griglia a tratti indica le materie tessili e sintetiche, un rombo indica, invece, la gomma o altri materiali non animali. Se tutti e tre i simboli sono rombo o griglia, la scarpa è approvata. Per quanto riguarda le parti in tessuto, poi, bisognerebbe verificare che non vi siano parti in lana. Per legge le informazioni sul prodotto devono riguardare l’80% del materiale, quindi per il restante 20% potrebbe non essere specificato il materiale impiegato.

Per quanto riguarda gli abiti, l’utilizzo della lana risulta controverso. Un’acquisto più consapevole richiederebbe, infatti, la conoscenza da parte del consumatore della procedura di tosatura, che a volte può rivelarsi traumatica per l’ovino. Ma come fronteggiare, dunque, le temperature invernali? Con il velluto, ad esempio, realizzato con cotone o materiali sintetici; con la ciniglia di cotone, la flanella, il pile e altri prodotti di sintesi.

Attenzione anche alle imbottiture, contenute ad esempio nei piumini. Anche le piume, infatti, dovrebbero essere evitate per chi è sensibile alla sofferenza inflitta alle oche durante le fasi di lavorazione.  Le piume d’oca possono oggi essere tranquillamente sostituite con imbottitura sintetica, come ad esempio il "Fibrefil", sia nei giacconi che nei piumoni da letto. Tra i filati, occhio anche alla seta. Questo tessuto viene prodotto mediante bachicoltura, come già si faceva in Cina ai tempi dell’imperatrice Xi Ling Shi. Durante le operazioni per ottenere il prezioso filato, infatti, i bachi vengono bolliti vivi per estrarre la seta dei loro bozzoli. Al posto della seta si possono usare alternative vegetali o sintetiche come la viscosa.

Michele Traversa

Direttore responsabile e Editore di LSDmagazine. Esperto di turismo, spettacolo, gastronomia e tecnologia. Attento alle strategie social media e preparato all'interazione tra gli strumenti che questi offrono e la diffusione dei loro contenuti. Collabora con le principali riviste del settore turistico, italiane e straniere, autore di libri e documentari di viaggio e di mostre fotografiche.