Tempo di lettura: 3 minuti
«La foresta è la chiave di tutto. Perchè al suo interno comprende la città e l’architettura, il paesaggio e l’arredamento, il dentro e il fuori, la natura». Ovvero la summa dell’universo di Sou Fujimoto, stella dell’architettura giapponese, che a 42 anni ha già vinto una dozzina di premi in patria e il prestigioso RIBA del Royal Institute of British Architects. Celebre per le sue case ‘apertè all’esterno, tra strutture leggerissime e spazi che si moltiplicano pur in assenza di pareti, Fujimoto ha già portato la sua concezione dello spazio domestico alla Biennale di Venezia nel 2010 con ‘Primitive Future Housè ed è oggi il più giovane architetto cui la Serpentine Gallery di Londra abbia chiesto di disegnare il padiglione estivo (fino al 20 ottobre nei giardini di Kensigton). E mentre Lisbona gli dedica la prima monografica europea al Centro Cultural de Belèm, il Maxxi di Roma ospita il suo progetto Energy Forest nella collettiva ‘Energy. Architettura e reti del petrolio e post petroliò (fino al 10 novembre).
«E’ la terza volta che vengo a Roma», racconta lui, protagonista della lezione affollatissima di ragazzi con cui il Maxxi ha inaugurato il ciclo di incontri sul tema ‘Energy: Le energie che muovono il mondò. «La prima volta – dice – fu 20 anni fa. Ero ancora all’università ed era il mio primo viaggio all’estero. Avevo studiato l’architettura romana e rimasi molto colpito dal Colosseo. Ma era estate, faceva caldo, camminai troppo e mi venne la febbre, quindi il ricordo non è molto roseo. La seconda fu una sorta di luna di miele con mia moglie e andò molto meglio». L’opera allestita al Maxxi e ispirata a un antico pozzo indiano «cerca di recuperare il potere di comunicazione e condivisione dell’energia. Ho immaginato – spiega – che nel futuro le persone possano volare, creando spazi non limitati alla strada ma su più livelli. È una sorta di foresta stratificata». Sì, perchè per il genio Fujimoto, nato nella verde Hokkaido, cresciuto arrampicandosi sugli alberi e arrivato a Tokyo solo a 18 anni per studiare, «la foresta è fondamentale. Sin da bambino – racconta – ho capito che era l’architettura ideale anche per il futuro. Non sembrerebbe, ma anche una città come Tokyo, che è esattamente l’opposto di un paesaggio naturale, può avere molto in comune con una foresta, perchè in entrambi gli scenari c’è una coesistenza di complessità e semplicità, di diversità di proporzioni. Questo mi interessa replicare e studiare», che sia per un grande museo o per un privato. Come nella celebre House N in Giappone, dove Fujimoto ha creato fino a 20 piccole rampe di scale e dove, nel bianco assoluto, non esistono pareti, ma solo qualche tenda negli ambienti più privati. «Voglio creare spazi confortevoli – spiega l’architetto -. Per questo amo parlare con i clienti. Mi avevano chiesto una casa aperta, perchè si sentivano come nomadi che non sarebbero stati seduti sul divano, ma avrebbero vagato da una stanza all’altra. Certo, House N è un’esperienza estrema».
Ma neanche poi tanto se tra i «20-25 progetti pubblici cui sto lavorando e dove voglio ricreare il concetto della foresta artificiale», Fujimoto conta già un’altra casa in Spagna, «pronta tra uno-due anni» e studiata sul modello dell’opera della Serpentine, con un sottilissimo reticolo tubolare che crea spazi e livelli fluttuanti. «Esistono molte differenze tra Giappone ed Europa – ammette -. Anche all’interno del Giappone stesso. Quello che più mi interessa è reagire all’ambiente, alle situazioni e alle culture. Il lavoro dell’architetto? Molti partono dalle ricerche, sul luogo, sulla città. Ma da questo approccio non scaturiscono opere eccezionali. La vera abilità di un architetto sta nel catturare qualcosa che è ancora nascosto e trasformarlo in possibilità aperta».