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Il filosofo dell’angoscia esistenziale, del senso di colpa, della limitatezza dell’individuo rispetto a una vita di scelte e possibilità, il tutto nato riflettendo in maniera fortemente introspettiva e autobiografica, è Soren Kierkegaard, che per questo risulta autore moderno e affascinante, come evidenzia anche la bella, analitica e poderosa biografia che gli dedica Joakim Graff, ora pubblicata in italiano da Castelvecchi (pp. 670 – 49,00 euro) in occasione dei duecento anni dalla nascita del pensatore danese (5 maggio 1813 – 11 novembre 1855).
«L’angoscia è la vertigine della libertà» – «Dalla mia più tenera età una freccia di dolore si è piantata nel mio cuore. Finchè vi rimane, sono ironico, se la si strappa, muoio» – Esistere significa «essere possibilità. Ma ciò non costituisce la ricchezza, bensì la miseria dell’uomo. La sua libertà di scelta non rappresenta la sua grandezza, ma il suo permanente dramma» scriveva Kierkegaard, che non a caso nella sua vita finì per restare quasi immobile ("conservare la mia esistenza al punto zero, tra il freddo e il caldo, tra bene e male, tra la saggezza e la stupidaggine, tra qualche cosa e il nulla come un semplice forse»), non lasciando praticamente mai Copenaghen (tranne due brevi viaggi a Berlino), dedicandosi tutto alla scrittura e alla produzione di libri, abbandonando a un certo punto, tra molti ripensamenti, sia il progetto di sposarsi con la sua fidanzata Regina Olsen, ritenendosi inadeguato al matrimonio e a un rapporto di quel tipo, sia quello di farsi pastore.
Col fidanzamento, la scoperta che il padre, che lo aveva segnato con una severa educazione religiosa, aveva commesso uno di quei peccati contro cui si scagliava sempre e «un pungolo nella carne», che non è desiderio, ma richiamo alla sua condizione umana e di penitente: questi i tre fatti salienti della sua esistenza che segnano in gran parte tutte le sue riflessioni e sono evidenti nelle belle pagine dei ‘Diarì.
È stato lo stesso Kierkegaard, insomma, a costruire il proprio mito, fatto di contrasti forti, di rinunce e passioni, di fede e martirio, di senso di solitudine, o almeno consapevolezza che tutto dipende dal punto di vista di ognuno, del singolo e non ci può essere conoscenza oggettiva. Dal rifiuto dell’hegelismo, come di ogni altra corrente filosofica allora dominante, allo scontro frontale con la Chiesa danese e la sua fede formalista e addomesticata, il suo pensiero ostenta le fratture e gli slanci di una vita interiore che è stata intensa e drammatica avventura dello spirito.
Joakin Graff, scrittore e ricercatore danese di formazione teologica che, dal 1992 al 1999, è stato presidente della Soren Kierkegaard Society ed è uno dei maggiori studiosi del filosofo danese, ha voluto ricollocarne la figura nel suo tempo e tentare una decifrazione nuova della sua esistenza, appassionata ma non apologetica. Modulando trasporto e ironia, alternando analisi filosofica e introspezione psicologica, ci restituisce la complessità di un uomo in balia della sua opera e che vedeva se stesso ora come un genio, ora come semplice strumento nelle mani di Dio.
E’ dai suoi irrisolti tormenti che prende viva forma la violenza intransigente del suo pensiero, la sua universalità e persistenza che ne ha fatto un involontario precursore dell’Esistenzialismo e, in generale, della sensibilità contemporanea attraverso libri come ‘Aut-aut’, Timore e tremore, Briciole di filosofia, Postilla conclusiva non scientifica, Il diario di un seduttore, solo per citare i titoli più celebri.