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Il viaggio continua tra le comunità lucane di lingua arbereshe. Ci fermiamo a San Costantino Albanese piccolo borgo anch’esso di etnia Arbëreshe situato nel cuore del Parco del Pollino, abitato da una comunità fondata da esuli albanesi, che, per non sottostare all’impero ottomano, dopo la caduta dell’Albania in mano ai turchi, si rifugiarono prima a Korone (Grecia) e poi in Italia riversandosi nel Regno di Napoli ricevendo ospitalità e privilegi da Carlo V, per via delle buone relazioni tra il Re e Skanderberg, eroe della resistenza e simbolo della libertà per gli albanesi. Da qui nel 1532 viene fondato il casato di San Costantino (Shen Kostandini). In questo accogliente borgo abbracciato dalle bellezze del Parco nazionale del Pollino, si estende una folta vegetazione di querce, agrifogli, cerri e roverelle, ben visibile da un punto panoramico facilmente raggiungibile chiamato “Tamburino” che si affaccia sulla valle del Rubbio. Piacevoli i tanti sentieri presenti tra questi quelli che permette di arrivare ad una delle tante sorgenti lucani presenti: La sorgente Catusa piena di faggi secolari. In mezzo a tutto questo c’è la località Acquafredda con un bellissimo agriturismo dove si possono apprezzare i sapori autentici del posto. Accanto un’area attrezzata per pic nic con fontane , tavoli e panchine. Ma c’è di più per i ricercatori di ossigeno puro , gli studiosi del clima e i tanti che del silenzio ne fanno arte e cultura c’è il panorama del Monte Caramola con tutta la vallata che guarda il Sinni e il Rubbio. C’è la timpa di Pietrasasso che più che raccontata va vista. Senza dimenticare di concedersi una breve ma intenso Volo dell’Aquila. Dopo aver incapsulato ossigeno e panorami mozzafiato, si scende per una breve passeggiata bel centro di questo luogo ricco di storia e forti identità. Una passeggiata per visitare la chiesa di San Costantino del XVII secolo, in cui sono custoditi un battistero in rame rosso e vari dipinti del XVI, XVII e XVIII secolo. Poco distante dall’abitato è situato il Santuario di Santa Maria della Stella, al cui interno si può ammirare una tela del XVII sec. in cui è rappresentata l’immagine della Madonna della Stella a cui è dedicata una festa che ospita un rito alquanto particolare: all’uscita della processione dalla chiesa, vengono incendiati alcuni pupazzi di cartapesta (“Nusasit”) di forma umana, vestiti in costume albanese, che rappresentano il matrimonio, il lavoro, la mietitura e il diavolo. I pupazzi antropomorfi di cartapesta, a grandezza naturale che raffigurano i seguenti personaggi: una donna (nusja), un pastore (Kapjel picut), due fabbri (furxharet) e il diavolo (djallthi), sono costruiti con opportune intelaiature (armaxhi) di legno, e sono poi vestiti con i costumi raffiguranti elementi del folclore locale. Tali pupazzi sono riempiti opportunamente con polvere pirica e razzi al fine di generare un moto (in alcuni rotatorio intorno al proprio asse in altri di altro tipo) che si conclude per ognuno di essi con la detonazione finale. C’è una forte religiosità che inebria l’aria di questo borgo quando, durante gli appuntamenti religiosi, vengono messi in risalto i costumi tradizionali nei loro tessuti preziosi e ricamati pronti per il rito greco-bizantino. C’è la storia dell’abito tradizionale maschile e femminile che vale la pena raccontare. Il vestito tipico maschile, piuttosto semplice, era composto da una camicia bianca, un gilet, pantaloni neri lunghi fino al ginocchio, calze di lana, un cappello a punta con funzione soprattutto decorativa. Il vestito femminile era assai ricco e costituiva un indice della condizione economica di chi lo indossava. La gonna (kamzolla) era rossa, di lana, tessuta al telaio, liscia sul davanti e per il resto tutta pieghettata, in tutto 50-70 pieghe raccolte in gruppi di 9-10. Il fondo della gonna era orlato da una larga fascia di tessuto pregiato. La gonna veniva decorata in diversi modi: con l’applicazione di fasce gialle lavorate e decorate al telaio (kamzolla me fashet); il numero delle fasce, da 4 a 6, indicava la condizione economica della donna e della sua famiglia; oppure con tre larghe fasce di seta, una bianca e due gialle, (kamzolla me riçune); questo ultimo tipo di gonna era posseduto da appena un paio di persone molto abbienti. Storia, identità, religiosità ma c’è quel pizzico buono legato alla gastronomia. Avete assaggiato i “Tarali”, la “Kulaci” una ciambella salata di colore giallo usta nel periodo di Pasqua? E la “Shtridhlat” un tipo di pasta di casa prodotta con il solo uso delle mani? Se non lo avete fatto bisogna andare e provare. Fatevi dire quando è previsto un matrimonio perché così fate i giusti abbinamenti tra storia e gastronomia. Prima di andare via fatevi un ultimo giro verso il l’Etnomuseo della Cultura Arbëreshe, la Casa Parco dove è ospitato il Museo dell’Etnobotanica, la mostra sulle tradizioni religiose, la mostra degli strumenti musicali tradizionali e la mostra fotografica etnografica e il Museo dell’Arte Sacra ultima opera di Carlo Levi. La domanda sorge spontanea : Alla fine perché venire in questo posto di solo 590 abitanti? Il sindaco Renato Iannibelli dall’alto della sua grande disponibilità e gentilezza ci risponde: Perché il nostro paese, fondato da profughi albanese nel 1534, conserva nei secoli usi, costumi, tradizioni e la lingua del paese di origine. Siamo un’oasi orientale nella Basilicata sud-occidentale e queste nostre peculiarità, attirano i turisti attratti dalla nostra cultura e dalle nostre tradizioni. Questo luogo è da sempre meta di numerosi visitatori, durante tutti i periodi dell’anno. Il nostro paese ha un’altra importante peculiarità, l’enogastronomia; si contano numerosi ristoranti ed agriturismi che sono diventati negli anni dei propri punti di riferimento per chi vuole gustare prodotti genuini cucinati in maniera eccellente e secondo la tradizione. Forse non tutti sanno che San Costantino Albanese custodisce l’ultima opera di Carlo Levi, un murales realizzato il 9 dicembre 1974 raffigurante tre ragazzi nell’abito tradizionale arbëresh; l’artista morì subito dopo, il 4 gennaio 1975, lasciando alla nostra comunità un regalo importante”. Si dice sempre che la cosa più importante sia il tempo. Possiamo aggiungere che al tempo bisogna dare un senso . Venire a San Costantino Albanese il tempo e il senso si mettono facilmente insieme . Provateci.
Oreste Roberto Lanza