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(Adnkronos) – L'appello di Abdullah Ocalan al disarmo e allo scioglimento del Pkk arriva a quasi dieci anni da quando, nel luglio 2015, si ruppe l'accordo di cessate il fuoco durato due anni e mezzo con la Turchia. Da allora, secondo l'International Crisis Group, furono 7.152 le persone uccise sia in Turchia, sia nel nord dell'Iraq. Segnando quello che il think tank definisce ''uno dei capitoli più sanguinosi degli ultimi quattro decenni della lotta del Pkk contro la Turchia''. 
Tra le vittime, 646 erano civili e 1.494 membri delle forze della sicurezza statale turca, tra cui soldati, ufficiali di polizia e guardie di villaggio, gruppi paramilitari composti da curdi, armati e pagati dallo Stato turco. Ci sono poi 262 vittime definiti di ''affiliazione sconosciuta'', ovvero individui tra i 16 e i 35 anni che non possono essere identificati con certezza né come civili, né come combattenti. A questi si aggiungono 4.786 membri del Pkk uccisi, anche se l'International Crisis Group ritiene che i numero reale sia superiore. A metà del 2023 Ankara aveva ad esempio affermato che quasi 40mila militanti del Pkk erano stati "neutralizzati" (uccisi, catturati o si erano arresi) dalla ripresa delle ostilità nel luglio 2015, anche nella Siria settentrionale. 
Dal luglio 2015 il conflitto tra Turchia e Pkk ha attraversato diverse fasi. Tra il 2015 e il 2017 circa, la violenza ha colpito in particolar modo le comunità di alcuni centri urbani del sud-est della Turchia, a maggioranza curda, e a volte anche i più grandi centri metropolitani del Paese. Dal 2017 in poi i combattimenti si sono spostati nelle aree rurali del sud-est della Turchia, mentre nel 2019 nel nord dell'Iraq e nel nord della Siria. —internazionale/esteriwebinfo@adnkronos.com (Web Info)

Redazione

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