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Ore 19.34 del 23 novembre 1980. Il tragico evento lo abbiamo raccontato in tutte le salse e tutte le lingue possibile. Alcune volte lo abbiamo edulcorato con pensieri inutili ma solo per fare sensazione. Vale la pena ricordare ancora? Ci sono novità vere? La politica nazionale e, soprattutto quella lucana cosa ha fatto di concreto. A Bucaletto, Bella, Balvano, Pescopagano cosa è stato fatto e completato? Le risorse previste sono state spese con ragionevolezza e consapevolezza? La gente dei territori interessati hanno visto ripristinato il legittimo diritto a ritrovarsi nelle proprie abitazioni? La politica lucana quella attuale e quella passata può dire al popolo lucano cosa è stato fatto e quali le cose che vorrebbe fare ma che non farà? Le risposte se vi è possibile da inviare presso il comune di Balvano ai famigliari delle 77 vittime, 66 delle quali bambini. “Non ci sono le parole per descrivere quello che è successo”. Queste le prime parole che uscirono dalla bocca di don Salvatore Pagliuca, parroco di Balvano, in provincia di Potenza, uno dei paesi più colpiti dal terremoto in Irpinia e Basilicata del 23 novembre 1980. Nel momento della scossa era nella chiesa di Santa Maria Assunta insieme ai fedeli per la messa della sera. Il crollo della chiesa causò la morte di 77 persone, di cui 66 bambini e adolescenti. Un semplice minuto e mezzo, novanta interminabili secondi, un sisma che colpì l’intero meridione d’Italia. Fu il terremoto quattro volte più grande di quello del Friuli. La scossa di magnitudo 6,9 sulla scala Richter con ipocentro a 30 chilometri di profondità rade al suolo interi paesi dell’area dell’Irpinia e della Basilicata settentrionale, Potenza, Balvano, Muro Lucano, Pescopagano sono solo alcuni dei comuni che pagano il costo maggiore in termini di vite umane. Nel complesso verranno registrati 2.914 morti, 8.848 feriti, 280.000 sfollati. La scossa arrivò quando appassionati di calcio erano intendi, chi ad esultare e chi meno, per la rete del momentaneo pareggio dell’Inter a Torino contro la Juventus. Le donne nel preparare la cena, scambiandosi idee propositi con i familiari per il giorno successivo lavorativo, rimasero bloccate dal continuo ondeggiare e l’infrangersi di piatti, bicchieri che cadevano dai mobili apertisi da soli. Fuggirono dalle rispettive case immaginando quello che da lì a poco sarebbe successo. Ognuno si precipitò fuori di casa così come si trovava. L’immaginabile superò in un attimo la sorpresa. I pensieri affollarono la mente di ogni lucano, del singolo giovane, persone anziani e fragili, che al cospetto di quelle macerie rimasero silenti e impauriti. L’attimo più perverso aveva distrutto una vita di sacrifici e impegni quotidiani. Le giornate successive, interminabili, furono quelle che annotarono una grande solidarietà tra tutti i lucani, un aiuto comune gli uni con gli altri e dove la generosità lucana brillò come il valore più alto. Il martedì successivo, di buon mattino, si registrò la presenza del Papa Giovanni Paolo II, che atterrò vicino al San Carlo di Potenza per elargire una carezza ai disperati, agli increduli, agli esterrefatti, ai rimasti soli a coloro senza un respiro anche per pregare. Giovanni Paolo II utilizzò poche parole se non per dire: “questa vostra grande sofferenza è preghiera, qui state pregando con la vostra sofferenza. Dio vi assiste”. Tempo dopo, fu la volta del Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, per rendersi conto dei ritardi nei soccorsi. “VERGOGNA” urlò al paese e poi mandò l’onorevole Zamberletti che diede il via alla Protezione Civile e seguì l’opera della ricostruzione tra ritardi, sprechi e la disperazione della gente. Nell’immediato furono spesi o forse messi a disposizione circa 50mila miliardi di vecchie lire, che ancora oggi pesano sulle tasche degli italiani tra accise sul carburante e opere incompiute. Un fiume di denaro che finì anche nelle tasche della camorra. Negli anni successivi si inserirono interessi che hanno dirottato i fondi verso aree che non ne avevano diritto, moltiplicando il numero dei comuni colpiti: 36 paesi in un primo momento, che divennero 280 in seguito a un decreto dell’allora presidente del Consiglio Arnaldo Forlani nel maggio 1981, fino a raggiungere la cifra finale di 687, ossia l’8,7% per cento del totale dei comuni italiani.  Fu messa in piedi la famosa legge 219 del 1981 che conteneva azioni di tre tipi: la ricostruzione delle abitazioni distrutte con il recupero di un rapporto servizi-residenze equilibrato e moderno; gli incentivi finanziari e fiscali per il trasferimento di attività produttive nelle zone interne della Campania ed in Basilicata; un piano di 20 mila alloggi per la città di Napoli afflitta da un indice di affollamento tra i più alti del mondo (10 mila abitanti per Kmq). Ma la legge fu stravolta da oltre cinquanta leggi e decreti successivi. Oggi le domande sono: si può dire che la ricostruzione sia stata completata? Quanto è costata realmente? Non avremo mai delle risposte nette e chiare e non vedremo mai la fine. Prima del terremoto le province di Avellino e Potenza erano tra le più povere d’Italia, zone di emigrazione e d’isolamento, ma chi conosce, in particolare, la Lucania, quelle zone sono rimaste portatrici di un valore importante, quelle di essere ambienti ancora umanamente solidali, comunità coese e semplici. Ricordare questo terremoto vale sempre come una lezione di vita, anche per la politica lucana sempre lontana dalle proprie comunità. Mi piace ricordare questo momento con un bellissimo pensiero di Gabriella Gribaudi, professoressa di storia contemporanea all’Università Federico II di Napoli, che pochi anni fa disse: “il terremoto è una cesura che segna la vita delle comunità e delle persone. E la cesura è amplificata dalla memoria. La memoria scandisce il tempo in un primo e un dopo, dilatando le dinamiche che normalmente insorgono con il passare degli anni. Prima c’è la comunità intatta, armoniosa, felice, dopo c’è la disgregazione, la corruzione. La nostalgia si colora delle immagini della socialità perduta, della piazza, del vicinato”. Questa nostalgia, purtroppo continua ancora ad esistere a cui si aggiunge il velo ipocrita di una prona assuefazione. Restano i dati complessivi: 2.914 morti, 8.848 feriti, 280.000 sfollati.

Oreste Roberto Lanza

Oreste Roberto Lanza

Oreste Roberto Lanza è di Francavilla Sul Sinni (Potenza), classe 1964. Giornalista pubblicista è laureato in Giurisprudenza all’Università di Salerno è attivo nel mondo del giornalismo sin dal 1983 collaborando inizialmente con alcune delle testate del suo territorio per poi allargarsi all'intero territorio italiano. Tanti e diversi gli scritti, in vari settori giornalistici, dalla politica, alla cultura allo spettacolo e al sociale in particolare, con un’attenzione peculiare sulla comunità lucana. Ha viaggiato per tutti i 131 borghi lucani conservando tanti e diversi contatti con varie istituzioni: regionali, provinciali e locali. Ha promozionato i prodotti della gastronomia lucana di cui conosce particolarità e non solo.