Tempo di lettura: 4 minuti

Possiamo distinguere due vie differenti anche se non necessariamente alternative. La prima è appellarsi alla solidarietà nazionale ormai conclamata come diritto fondante della unitarietà nazionale. Cioè si sostiene anche dalle delibere della Corte Costituzionale che le porzioni ricche d’Italia devono soccorrere le regioni meno fortunate. Questa di attendere qualcosa da altri è una strategia molto cara ai nostri politicanti che sono molto inclini alla questua. Da decenni si “chiede” (una volta si utilizzava il termine “supplica”) per avere un ospedale, una strada, aiuto per una alluvione…questo “chiedere” rimane un modo per sottolineare la nostra sudditanza verso altri che si materializza con questa pratica per la quale i soldi delle nostre tasse che paghiamo per migliorare i nostri servizi… una volta pagati non sono più i nostri e dobbiamo pregare perché qualcuno a Roma si degni di prendere in considerazione le nostre necessità. In questa linea “politica” naturalmente è importante la conoscenza (non certo mafiosa) personale che costruisce il “potere” di una persona e di una poltrona che così diviene ambita perché chi si siede su di essa “può” di più di altri. Questo sistema applicato all’economia si traduce in “aiuti” per l’impianto del tale stabilimento oppure nella riduzione della tale tassa “specialmente” per Tizio o Sempronio o per tale altra categoria di persone o imprese che hanno avuto la sagacia di installarsi nella Zes o dove la politica vuole creare un polo di sviluppo. In questa accezione solidale (o, meglio: questuante) l’intero sistema fiscale, previdenziale, bancario, creditizio, monetario, ecc. ecc. rimane inalterato come se il Sud fosse uguale al Nord semplicemente perché sta in Italia e quindi per definizione non esiste differenza tra italiani; però se appena vai verso Foggia venendo da Ancona ti accorgi che stai entrando in un’altra nazione completamente differente senza che sia stato necessario costruire una Regione autonoma meridionale che viene gestita male magari dalla malavita locale. Nazione completamente differente che ogni tanto “chiede” il tale ospedale o il rafforzamento della sicurezza o un reddito di cittadinanza. Questa è l’idea ottocentesca per la quale la unicità del Re o della macchina amministrativa costituisce al unitarietà della nazione cosa che noi italiani (ma anche i francesi e gli inglesi oltre che decine di altri stati del mondo) sappiamo che è una finzione istituzionale totalmente campata in aria. Questa strada in passato è stata considerata la migliore e sarà certamente percorsa in quanto la gente che bazzica i Palazzi non ha un’altra idea: sono questuanti per cultura e lo fanno. Ovviamente tutto questo impedisce alle imprese meridionali di proiettarsi all’estero o anche solo a programmarsi per una crescita più ambiziosa e se mai le ambizioni ci sono potranno essere soddisfatte sempre chiedendo il tale “aiuto”, il tale finanziamento ecc. ecc. come sappiamo bene: la cultura questuante è un sistema di “pezze” che servono a mantenere in piedi l’esistente e magari qualche impresa che proviene da lontano che viene qui a fare profitti; fino a quando li farà, poi ognuno per se e Dio per tutti! Poi ne esiste un’altra di maniera per affrontare la questione del Sud che invece si interessa delle radici dello sviluppo: per avere sviluppo è necessario che le imprese siano competitive e quindi abbiano fattori produttivi abbondanti e a buon prezzo. Il costo del lavoro come della energia come del danaro, la efficienza della burocrazia la esistenza di strade e di sicurezza per la propria incolumità fisica e per la difesa delle proprie piccole o grandi ricchezze sono elementi dello sviluppo. Nel caso del sud molti di questi elementi sono assenti per una politica ormai pluridecennale nordcentrica imposta dalla presenza in Parlamento di un partito esplicitamente favorevole al nord; quindi per restituire alle nostre imprese competitività serve puntare su quei fattori della produzione che possono essere più economici come l’energia che produciamo in eccesso qui in meridione (grande regione che vogliamo chiamare Mediterranea) ma anche il danaro che è cronicamente in eccesso. Basterebbero queste due componenti unite ad un fisco speciale per il sud per riportare nel giro massimo di un lustro Mediterranea a livelli di competitività mai conosciuti. Si dice un fisco speciale in quanto la dotazione dei servizi è molto al di sotto del livello essenziale in moltissime parti del Sud e quindi non si vede come si possa considerare accettabile un fisco che sia uguale a quello del nord. Non si tratta solo di livello di fiscalità ma ed è quello che più conta del sistema farraginoso se non ingiusto, burocratico se non incomprensibile, lunare come è stato detto da un Presidente della Repubblica,….
Tutto questo naturalmente comporta che deve esistere una serie di istituzioni a ciò deputate: una autorità per l’energia e in genere per tutte le utilities (il costo complessivo dell’acqua in Mediterranea ha dello scandaloso) specifico per la Macroregione Mediterranea è il minimo prevedendo che abbia una gestione eletta e non certo nominata dai politicanti questuanti che abbiamo. Un sistema di banche che possano raccogliere il risparmio creato qui e oggi convogliato alla velocità della luce nelle piazze nordiche che vada poi collocato presso le aziende locali con contratti di finanziamento diversi da quelli utilizzati dalle grandi banche nazionali ed internazionali. Scandaloso il caso della Banca Popolare di Bari che è divenuta statale per risanarla e adesso non ritorna nella piena proprietà dei suoi azionisti. Anzi le cambiano nome per azzerare la ipotesi di sua riesumazione già sventata distruggendo e polverizzando i quadri della banca, chiudendo sportelli,…uno stupro incredibile evidentemente resosi necessario (sempre secondo i loro criteri) per il risanamento stabile e duraturo. Adesso perché non ritorna ai legittimi proprietari? Con una gestione meridionale anche qui eletta e non nominata? stessa identica considerazione va fatta per il Banco di Napoli. È FUORI DA OGNI RAGIONEVOLEZZA che Napoli non abbia una sua Banca di proprietà dei napoletani; peraltro sappiamo che il Banco di Napoli, quello vero, non andava “risolto” (termine strano per non dire distrutto) perché solido ed efficiente. Inoltre la Banca del Mezzogiorno (il nuovo nome della Banca Popolare di Bari) sarebbe tale sempre per distribuire soldi (ci sembra di capire) e non certo per restituire ai mediterranei la gestione e proprietà della loro banca. Questa delle banche è una vergogna che sottolinea senza ombra di dubbio la condizione di subalternità del sud -meglio: di Mediterranea- verso poteri non cristallini. Dovrebbero essere le genti di Mediterranea a scegliere quale politica seguire e per farlo devono essere informate e probabilmente seguirebbero la seconda strada ma NESSUNO degli attuali detentori del potere di informare e chi gli sta dietro ha interesse a fare tutto questo. La situazione rimarrà quella che è e vedremo per molto tempo ancora i nostri politicanti andare a Roma a chiedere soldi e torneranno vincitori della prebenda ottenuta di cui saranno FIERI E SE NE VANTERANNO ASSERENDO CHE è DOVUTA AL LORO POTERE!!!! Condannando così ancora per un po’ Mediterranea alla condizione di neo colonia. Alla faccia delle Università che ignorano totalmente tale possibilità; e dei partiti che anch’essi ignorano ogni cosa che possa assomigliare alla cultura; e alla faccia dei Centri Studi che quando fanno qualcosa fanno statistiche….

Canio Trione

Canio Trione

Direttore editoriale di Bari Sera e delle altre testate della editrice La Città, meridionalista da tempo immemore; scrive da sempre di economia reale, credito, finanza, scienza della moneta; ha pubblicato decine di saggi; grande critico della gestione dell'euro; profondo conoscitore della storia anche remota dell' economia.