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“Mia mamma avanti e io appresso. Dove stiamo andando non lo so, dice che è per il mio bene”. Inizia così il libro della napoletana Viola Ardone “Il Treno dei bambini”. Il prossimo 4 dicembre su Netflix andrà in onda la versione cinematografica che la regista Cristina Comencini ha tratto da questo interessante bestseller. Storia tra le tante o una qualunque? È una storia di sacrifico, di sradicamento dal proprio luogo di nascita, una storia di fame e miseria. Una storia vera di povertà che va ricordata e mai dimenticata quando tra il 1945 e il 1952 in un Meridione post bellico viene messa in piedi una macchina chiamata dell’accoglienza in soccorso dell’infanzia più fragile. Un “treno per ritrovare la vita” per trasferire bambini provenienti dai paesi poveri del Mezzogiorno in famiglie del Nord che vivevano in buone condizioni. Bambini strappati alla miseria e affidati a famiglie del Nord e del Centro. La storia di Amerigo è quella stessa capitata al francavillese Antonio Gaudio, detto Belfiore, ora con 87 primavere sulle spalle, nato in Lucania, a Francavilla sul Sinni, paesino alle porte del Pollino, nel Potentino. Stessa condizione e simile affermazione: “Vai, tornerai presto”. Partì in un giorno pieno di sole, arrivò che c’era la neve. E dopo 80 anni non è ancora tornato. Era il 1946, Antonio aveva 9 anni quando salì su uno di quei convogli della solidarietà organizzati dall’Unione donne italiane, e dalla politica della Resistenza. Un viaggio che divise la sua infanzia segnando il suo destino tra il Nord e il suo paese natio, il Sud d’Italia. Un destino che gli permise di recuperare un pezzo di pane e dove anche se si sedevano in 10 a tavola c’era sempre cibo sufficiente per tutti. Un piatto, un sottopiatto e un bicchiere dove bere dell’acqua e un po’ di vino. Una storia limpida di una letteratura senza pensare ai colori politici che racconta una essenzialità: l’opportunità di una vita migliore. Circostanze per salvare nuove generazioni evitando di mandarle a raccogliere come si dice in gergo le “pezze”. Storie di paradossi ma di salvezza: la perdita della mamma o del proprio paese e la sconfitta della fame, le radici recise e la nuova serenità. Quando una guerra toglie il respiro ai bambini va raccontata perché è storia dolorosa di un brutto passato, che il presente non deve dimenticare e soprattutto per il futuro che deve per mettere al centro l’uomo prima di qualsiasi altro interesse.
Oreste Roberto Lanza