Tempo di lettura: 6 minuti

“Là dove c’è pericolo, cresce anche ciò che salva”. Così alcuni giorni fa concludeva il suo articolo di fondo un editorialista del Corriere della sera. Il pericolo richiama l’istinto di difesa, che spinge a chiudersi oppure ad escogitare tecniche e strumenti efficaci per salvarsi.Di fronte al prepotente di turno, di fronte alla sua forza, la persona civile fa ricorso subito alla ragione e alle parole, allo scopo e con la speranza di farlo ragionare, di indurlo a disarmare. Nella vita pratica, però, sempre piú spesso accade di assistere che ad azioni violente si reagisca con violenza tanto maggiore, da giungere persino all’uccisione dell’avversario. I dissidi, i conflitti non si vuole affrontarli con il dialogo illuminato dalla ragione, ma con la lotta armata suggerita dall’istinto bestiale che, dalla preistoria ad oggi, nell’uomo è rimasto lo stesso “Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo”, piangeva il poeta Salvatore Quasimodo sulle miserie prodotte dalla seconda guerra mondiale. I giorni che viviamo ci presentano ancora comportamenti umani che sembrano appartenere all’era della pietra e della fionda. La storia dell’uomo è caratterizzata dalla ricerca continua di mezzi sempre piú potenti che mirano quasi soltanto a distruggere il nemico e il suo ambiente, su cui andare trionfanti a piantare la bandiera della propria pace. I vinti, nella loro umiliante condizione, non possono fare altro che sognare e operare con ogni mezzo la rivincita, che prima o poi si realizza. E saranno loro poi ad imporre la propria pace. La quale, in sostanza, è soltanto una tregua, una interruzione temporanea della guerra, che serve a far riprendere fiato ai contendenti, allo scopo di preparare nuove, piú efficaci e desertificanti operazioni di guerra.Sulla logica della massima latina “Si vis pacem, para bellum” (Se vuoi la pace, prepara la guerra), che può essere interpretata come la guerra preventiva di cui oggi tanto si parla, si fonda la concezione dei rapporti umani, ispirata alla diffidenza e al sospetto nei confronti del proprio simile. Di tale concezione noi uomini siamo nutriti e imbevuti e, per questo, essenzialmente condizionati. In questo campo, da Caino fino a noi, l’uomo ha operato un avanzamento pari a quello del topolino che corre in un cerchio. Quando sono gli uomini a rappresentare il pericolo, allora obiettivo primario deve essere la salvezza non solo nostra, ma anche degli autori del pericolo, cioè dei nostri nemici. «“Chiunque ucciderà Caino sarà punito sette volte di piú”. E pose il Signore su Caino un segno, affinché nessuno di quelli che lo incontrassero, lo uccidesse», cosí è scritto nel libro della Genesi. E nella morale cristiana splende il principio “Interficite errores, auxiliamini errantibus”, cioè “Odiate a morte gli errori, ma porgete aiuto a chi sbaglia”. È opinione quasi unanimemente condivisa dagli scienziati di tutto il mondo che, unico fra tutti gli animali della terra, l’uomo ha la capacità di frenare la sua aggressività naturale mediante la forza delle leggi, della morale, della cultura e della religione. E Ugo Foscolo, constatando con legittimo orgoglio civile che l’uomo ha molto perduto della sua brutalità, grazie all’istituzione della famiglia, dell’invenzione delle leggi e della pratica delle religioni, declamava: “nozze e tribunali e are/ diero alle umane belve essere pietose/ di se stesse e d’altrui”. La storia è maestra di vita. Ma questa è ormai solo una frase sterile, un modo di dire, quasi un luogo comune. Nel passato dell’intera umanità, invece, è possibile riscoprire non pochi valori ideali, morali e di civiltà, non poche figure capaci di illuminarci la difficile via della vita d’ogni giorno. La realtà della nostra epoca ci spinge a trovare nuove forme di convivenza, basate su princípi sacri, condivisi da tutte le persone e da tutti i popoli della terra: rispetto reciproco fra le persone e, prima di ogni altra cosa, rispetto e valorizzazione delle diversità di qualsiasi genere: somatiche, sessuali, culturali, ideologiche, politiche, religiose, ecc. Per avere la pace, quindi, impariamo a costruirla in condizioni di pace, non ad invocarla solo quando essa è in pericolo, come fa il malato con la salute. La parola “pace” va intesa come disposizione a vedere nel proprio simile un amico ed un collaboratore, a vedere nei suoi errori un’occasione preziosa per aiutarlo a riabilitarsi; pace, come lotta mirata ad estirpare le radici di quelle abitudini, che portano tutti noi a commettere atti  di violenza  su  persone e cose,  in famiglia, a  scuola, nella  società:  toni di  voce  non necessariamente elevati, parole che umiliano, minacciano e aggrediscono, schiaffi, calci, pugni, fino a giungere al desiderio, e spesso alla realizzazione, dell’eliminazione fisica del nostro simile.La legge è uno dei mezzi piú efficaci per la tutela della pace. E va rispettata, non solo quando difende i nostri interessi, ma anche quando difende quelli degli altri, benché possa accadere che ciò risulti a nostro svantaggio.  Purtroppo, però, sempre piú diffusa è l’inosservanza delle leggi, o meglio, il disprezzo delle leggi. Il detto “fatta la legge, trovato l’inganno”, ormai accettato da noi italiani quasi come una fatalità, se non addirittura come incoraggiamento alla trasgressione, è il nostro pane quotidiano. E, se è vero che noi siamo anche quel che mangiamo, allora il risultato ci si para dinnanzi in tutto il suo peso e consistenza: cioè, in condizioni di cosiddetta pace, noi, tutti i santi giorni e tutte le sante notti, facciamo piccole, ma autentiche operazioni di guerra; e studiamo varie strategie e tattiche, tanto l’adulto, quanto il bambino, tanto l’uomo, quanto la donna, tanto l’analfabeta, quanto il plurilaureato. L’obiettivo comune a tutti è la soddisfazione dei propri interessi, personali o di gruppo. Quale conseguenza di tutto questo, scorrono quotidianamente sotto i nostri occhi tanti gravi delitti, consumati in nome di un egoismo insaziabile e sempre piú cieco, tanto da non vedere piú la sacralità della vita neanche tra i membri della famiglia: il figlio uccide il genitore, il genitore il figlio, il marito la moglie, la moglie il marito, il fratello il fratello, l’uomo se stesso. “Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo!” echeggia, sconsolato, il Poeta. Ma siamo davvero tutti prigionieri sotto una simile cappa di fatalità? È certo che non vi sia il modo di aiutare i tanti sfortunati fratelli perché rompano quell’incantesimo, tornino ad abbracciare la propria vita e provino nuovamente sacro rispetto per quella degli altri? Una risposta soddisfacente possiamo trovarla: esiste, infatti, anche una parte dell’umanità, che segue un’altra via per affrontare e risolvere scontri e conflitti. Sono coloro che ritengono il dialogo unico strumento degno dell’uomo per la soluzione di qualunque problema. Anche se non è stata mai numerosa, perché ha sempre dovuto pagare un prezzo altissimo, questa parte buona dell’umanità ne ha rappresentato il vessillo di progresso ideale, civile e morale. La condizione per uscire e far uscire da quell’incantesimo sta nell’osservanza delle leggi a qualunque livello: locale, provinciale, regionale, nazionale e, oggi particolarmente, internazionale. Se amiamo la vita, non ci è difficile accettare queste sane limitazioni della libertà individuale. Le leggi non sono il frutto avvelenato del capriccio di uno o di pochi, ma il risultato degli sforzi che le migliori intelligenze di una comunità profondono per consentire un dignitoso livello di vita nella sicurezza del diritto e nella tutela della pace. Oggi, sotto la concreta minaccia di una guerra dalle conseguenze imprevedibili, noi siamo convinti che una manifestazione come la nostra [la fiaccolata,ndr]non farà cambiare idea a chi crede giusto e giustificato l’uso della forza. Tuttavia, la nostra fede nella parola e nella ragione ci autorizza a pensare che chi è in errore, disponendosi ad accettare questi due strumenti di luce e di vita, potrà ottenere la salvezza per se stesso e per gli altri. La fede profonda nell’idea di fratellanza, la forte fede che proverbialmente fa spostare le montagne, la fede in una giustizia e misericordia onnipotente, se espressa, o meglio, se urlata da milioni e milioni di persone, potrebbe, chissà?, far crollare le mura di quella fortezza (come accadde per la biblica Gerico), in cui è chiuso il cuore di coloro che, al vertice di responsabilità estreme, sfidano la capacità umana di resistenza al dolore, fisico e spirituale. Anche in questo caso siamo certi che l’allontanamento del pericolo starebbe nell’ottemperanza delle leggi. E in questo caso la legge è ancora piú semplice e accettabile, perché sta scritta nel cuore dell’uomo: NON AMMAZZARE! Il messaggio che oggi noi da Taviano vogliamo lanciare, in sintonia con altri milioni di persone in tutto il mondo, è che vengano chiusi gli arsenali di guerra e si impieghi l’unico strumento in grado di difendere la pace: la parola della ragione. Primo Levi, una delle vittime piú illustri di Auschwitz, ha sostenuto con tutta la forza dell’anima il valore del dialogo come autentico strumento di progresso civile. In una poesia degli ultimi anni della sua vita, implorava tutti quelli che si alternano nei posti di massima responsabilità e sono nelle condizioni di attivare ordigni micidiali e macchine di distruzione: “Sedete e contrattate, finché la lingua vi si secchi”. A tutti coloro anche noi, con nel cuore e nella mente desideri e pensieri di pace, di giustizia e di perdono, urliamo questa invocazione: “IN NOME DI TUTTA L’UMANITÀ, NON AMMAZZATE!”

 

Augusto Fonseca

 

 

 

 

Redazione

Lsd sta per Last smart day, ovvero ultimo giorno intelligente, ultima speranza di una fuga da una cultura ormai completamente omologata, massificata, banalizzata. Il riferimento all'acido lisergico del nostro padre spirituale, Albert Hofmann, non è casuale, anzi tutto parte di lì perché LSDmagazine si propone come cura culturale per menti deviate dalla televisione e dalla pubblicità. Nel concreto il quotidiano diretto da Michele Traversa si offre anzitutto come enorme contenitore dell'espressività di chiunque voglia far sentire la propria opinione o menzionare fatti e notizie al di fuori dei canonici mezzi di comunicazione. Lsd pone la sua attenzione su ciò che solletica l'interesse dei suoi scrittori, indipendente dal fatto che quanto scritto sia popolare o meno, perciò riflette un sentire libero e sincero, assolutamente non vincolato e mosso dalla sola curiosità (o passione) dei suoi collaboratori. In conseguenza di ciò, hanno spazio molteplici interviste condotte a personaggi di sicuro spessore ma che non trovano spazio nei salotti televisivi, recensioni di gruppi musicali, dischi e libri non riconosciuti come best sellers, cronache e resoconti di sport minori, fatti ed iniziative locali che solitamente non hanno il risalto che meritano. Ma Lsd è anche fuga dal quotidiano, i vari resoconti dai luoghi più suggestivi del pianeta rendono il nostro magazine punto di riferimento per odeporici lettori.