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Sarà possibile fino al 12 gennaio visitare a Parma circa 115 opere del grande artista francese. Non si tratta solo di un tuffo nella Belle Epoque e nei suoi fasti, ma di una autentica finestra aperta su un periodo ricco di fermenti culturali, con tutto il suo carico di aspirazioni, creatività, contraddizioni, entusiasmi e ostilità. E naturalmente è anche uno sguardo sulla figura artistica di Henri de Toulouse-Lautrec, che di quella epoque fu uno dei maggiori esponenti. Più che un pittore Lautrec fu un grafico dallo spirito eclettico, un personaggio che volle vivere la sua vita di dannazione ed emarginazione proprio emarginando la società aristocratica dalla quale proveniva. Figlio di una coppia di nobili cugini di primo grado del sud della Francia, Henri soffrì di una rara forma di malattia genetica che non gli permise lo sviluppo osseo, fermando la sua crescita scheletrica a poco più di un metro e mezzo con grave malformazione delle gambe. Sviluppò la passione per il disegno e la pittura proprio nei momenti di immobilità fisica. Ma ciò che folgorò e cambiò il suo mondo espressivo fu la litografia a colori ad opera dei Nabis, artisti parigini dell’avanguardia post impressionista. Lautrec si trasferì presto a Parigi, la Ville Lumière del tardo ‘800, e scelse per il suo atelier Montmatre, quartiere malfamato ma anche crocevia di movimenti culturali creativi. Escluso fra gli esclusi per le sue deformità, Henri visse da autentico bohémien, nonostante la disponibilità economica e il titolo di conte. Fu amico di Van Gogh, Degas, ma avversò il nascente “impressionismo”: lui prediligeva la figura umana, affermando che “il paesaggio non è che un accessorio”, e uno stile essenziale che valorizzasse l’uomo e la sua collocazione nella società. La vita sregolata, anticonformista, lo trascinò nella vita notturna, frequentò le maisons closes (i bordelli) e i café chantant, diventando amico di prostitute e ballerine. E, come usavano i poeti maledetti, per annegare la solitudine esistenziale finì per assumere allucinogeni come l’assenzio: l’esperienza gli procurò danni cerebrali fino al delirium tremens. Malato anche di sifilide si spense nel 1901 a soli 36 anni. Tuttavia tra disegni, dipinti, acquarelli, stampe e manifesti lasciò circa 6.000 opere. In vita fu quasi demonizzato dalla critica: la sua fama fu postuma.

La più grande innovazione di Lautrec fu quella di combinare la pittura con la grafica, risentendo l’influenza della nascente fotografia: in tal senso orientò la sua produzione alla realizzazione di manifesti. Il più famoso fu quello per il Moulin Rouge nel 1891, che procurò fama a lui e al locale. Possiamo far risalire a quella data la nascita del manifesto pubblicitario, forma immediata di comunicazione per un migliore e più accattivante approccio con il consumatore.

La mostra di Parma per la produzione di “Navigare”, curata da Joan Abellò con il coordinamento di Vittoria Mainoldi, si compone di quattro sezioni. Si comincia proprio con i manifesti, opere di grafica pubblicitaria dedicati ai locali (Le chat noir, la Galette, il Divan Japonais, ecc) che l’artista frequentava, per promuoverne gli spettacoli. Contemporaneamente vengono celebrati artisti e ballerine che lui conosceva, su tutti Aristide Bruant, poeta e chansonnier, Jane Avril, Yvette Guilbert. E non mancano le illustrazioni per riviste dell’epoca: “La rire”, “La revue blanche”, “L’aube”. Segue “Elles” celebre raccolta di stampe che raffigurano prostitute colte in classici atteggiamenti: l’aderenza alla loro quotidianità è discreta ed umana; anche l’immancabile erotismo trova una sua giustificazione sociale al di sopra di tutte le ipocrisie e i conformismi borghesi. I contorni, i limiti delle illustrazioni, sono sempre sfumati e lasciano spazio ad una immaginazione intuitiva. Le emozioni sono contenute.

E si passa al mondo del circo, altro soggetto caro a Lautrec. Non dimentichiamo che Henri trascorse l’infanzia tra i cavalli che tanto piacevano a suo padre. Le immagini trasportano in un luogo della memoria che allontana dai problemi della vita quotidiana, nel quale convivono animali, clown, trapezisti, giocolieri. L’ assenza del pubblico concentra l’attenzione sui personaggi e le loro azioni.

In chiusura una serie di ritratti, per la maggior parte ripresi in Bois de Boulogne, rivela la vita nella sua essenza e spontaneità, così come si mostrava nelle strade dei quartieri parigini. Sicuramente l’ispirazione seguiva l’idea di un’indagine quasi fotografica.

E’ un viaggio nella Parigi fin de siècle in compagnia di un “genio”, quel genio che quasi sempre sconfina nella sregolatezza.

Dottor Sax

Doctor Sax