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(Adnkronos) – Quando sbagli tutto, la tentazione è quella di tornare rapidamente indietro e cancellare tutto quello che è successo. Una volta, si sarebbe detto 'riavvolgere il nastro'. Quello che sta passando in queste ore nella mente di Dan e Ryan Friedkin deve essere qualcosa di molto simile a questo. Quasi sempre è impossibile farlo ma la proprietà americana della Roma ha già dimostrato di poter considerare fattibile anche l'infattibile. Vuol dire che i tifosi che sperano in un ritorno di Daniele De Rossi possono avere qualche fondata aspettativa? Difficile, ma se i risultati dovessero peggiorare (già la prossima trasferta a Monza diventa in questo senso una partita chiave) e la depressione generalizzata che si è impossessata dell'ambiente Roma fuori e dentro Trigoria non dovesse diradarsi, la posizione di Juric potrebbe essere rimessa in discussione. E tornare a De Rossi sarebbe a quel punto una conseguenza logica, per tre ragioni fondamentali: perché è già a libro paga con un contratto lungo e oneroso, perché garantirebbe una immediata riconciliazione con la piazza e perché potrebbe essere considerata l'unica strada percorribile per provare a salvare stagione, progetto, e investimenti. I Friedkin hanno vissuto le concitate ore dell'esonero di De Rossi nella convinzione che le evidenze portate dalla Ceo Lina Souloukou e l'analisi dei dati giustificassero la svolta. Poi, però, sono emersi i fatti che hanno portato alle dimissioni della manager greca, che sono state la logica conseguenza degli errori commessi e anche di manovre che i Friedkin hanno giudicato quantomeno non trasparenti. Nel pacchetto di decisioni che parte dall'esonero di De Rossi va considerata anche la scelta di Ivan Juric, che non ha alcun demerito e che anzi si è calato nel suo ruolo con il massimo della disponibilità e del buon senso possibili, ma che resta inequivocabilmente una scelta di Lina Souloukou. L'altra domanda che ha senso porsi è: come stanno vivendo in queste ore i Friedkin le conseguenze di quella scelta? Male, secondo quanto risulta all'Adnkronos. Gli americani prima sono rimasti impressionati da una contestazione che non si è ancora fermata e poi delusi dalla rapida involuzione dell'effetto Juric. Il saldo dell'operazione, che non nasce da loro ma che loro hanno avallato, è considerato per ora negativo. La Roma fino al 18 settembre scorso era una società con un progetto triennale che aveva scommesso su un allenatore bandiera, De Rossi, e stava vivendo una relazione profonda e ormai consolidata con la sua gente. Aveva problemi ma erano problemi di campo dentro un percorso al suo inizio, con una prospettiva delineata. Oggi, neanche 20 giorni dopo, la Roma non c'è più. Ha perso la sua identità e il campo, dopo la prima reazione nervosa con l'Udinese e in parte con l'Athletic Bilbao, ha iniziato a emettere le sue sentenze, sia nella casuale vittoria di domenica scorsa con il Venezia sia nella rassegnata sconfitta di giovedì con gli svedesi dell'Elfsborg. La situazione paradossale che si è venuta a creare è che oggi c'è a Trigoria un allenatore solo, scelto da una Ceo che non c'è più. Juric sta facendo quello che può fare, poco, in un contesto deteriorato da scelte che non si metabolizzano facilmente. La Roma è una squadra vuota e la società è al momento inesistente. Resta solo la proprietà, se la tentazione di cedere e l'investimento nell'Everton non l'hanno definitivamente allontanata da Roma, e potrebbe essere chiamata a intervenire di nuovo per dare un senso, una prospettiva, a quello che sta facendo. Per andare oltre gli errori fatti servono i risultati. Addirittura Dan e Ryan Friedkin hanno parlato di trofei da vincere quest'anno per spiegare la rinuncia a De Rossi. Ma se i risultati non dovessero esserci e i pessimi segnali delle ultime due partite dovessero degenerare in una vera e propria crisi di rigetto da parte della squadra, una nuova svolta potrebbe essere presa in considerazione. (Di Fabio Insenga) —sportwebinfo@adnkronos.com (Web Info)