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Presegue sino al 27 ottobre la mostra OBEY The Art of Shepard Farey, un percorso espositivo pensato per gli spazi della Fabbrica del Vapore di Milano in occasione dei 35 anni di carriera dello street artist americano di fama internazionale Shepard Farey, in arte OBEY. Racchiude opere selezionate direttamente dall’artista e suddivise in 5 sezioni tematiche: Propaganda, Pace e Giustizia, Musica, Ambiente e Nuove Opere.

La mostra è curata dall’artista e dalla galleria Wunderkammern in coproduzione con la Fabbrica del Vapore e il con il supporto del comune di Milano.

OBEY Punk, amore, politica e tanto altro: universi topici nell’immaginario collettivo

OBEY oltre che una parola immediatamente familiare è ormai un segno grafico di grande potenza comunicativa, in grado di evocare immagini e serigrafie topiche entrate a far parte dell’immaginario collettivo, in ambito sociale, politico e artistico. Questo avviene grazie al lavoro artistico capillare, peculiare e intelligente dello street artist americano Shepard Farey, in arte OBEY. Nella sua carriera artistica, OBEY ha disseminato più di 100 murales in Europa e nel mondo (tra cui Canada, Stati Uniti, Russia, Hong Kong, Sudafrica..). La parola OBEY ha l’obiettivo di attirare l’attenzione sulla parola OBBEDIRE ma in maniera critica e proattiva, infatti l’artista dichiara: “l’antidoto al sentirsi impotenti all’interno delle strutture sociali è avere gli occhi e la mente aperti e procedere in modo proattivo nella vita con scopo e consapevolezza”.

Mi piace partire da qui, facendo riferimento all’importanza che ha, la figura dell’occhio, la sua rappresentazione e quindi la sua funzione duplice all’interno delle opere di Farey: se da una parte si insinua come un dispositivo di videosorveglianza orwelliano volto a controllarci e spiarci, dall’altra è un invito a stare attenti, con gli occhi aperti, senza subire passivamente.

Vale la pena spendere parole sulle raffigurazioni dei ritratti presenti nelle sue serigrafie, evocatrici, almeno nello stile, della pop art di Wharol e con un chiaro accostamento tra arte e industria commerciale. Sono due in particolare le opere di OBEY ormai topiche e diffuse nell’immaginario collettivo e inserite nella sezione della mostra intitolata “Propaganda”: gli stickers riprodotti in serie con il volto del Wresling francese Andrè the Giant del 1989 “passati alla storia con il nome “Andrè The Giant Has a Posse” e l’opera “Hope” del 2008 che raffigura Obama, allora candidato alle presidenziali americane. Nel primo caso l’esperimento, che parte dall’intento di riprodurre uno stencil dall’immagine di un giornale – fu casuale la scelta dell’immagine del wresling – è diventata una vera e propra campagna artistica “Obey The Giant” appunto e, nel secondo caso si è trattato invece di un episodio indipendente dalla campagna elettorale di Obama, un’operazione fondamentale per il successo dell’artista. In entrambi i casi, i ritratti realizzati presentano tratti somatici forti e definiti, di grande impatto sulla memoria visiva collettiva. Nel 1990 Farey attua uno scherzo sul cartellone elettorale di Vincent Buddy Cianci per l’elezione al sindaco di Providence, applicando sul volto del candidato una gigantografia di Andrè de Giant, con lo scopo di “cancellare” il passato del candidato come uomo bruto, proprio accostandogli la figura di un uomo buono come Giant.

Siamo agli esordi di OBEY. Il volto di The Giant viene replicato su diversi materiali (stickers, poster, affissioni e manifesti) e con l’utilizzo di tecniche artistiche di tipo DIY (Do – it – yourself) come serigrafie, stencil, fotocopiatura e collage taglia-incolla.

La mostra è un percorso grandioso e interessante che, da politico, con riferimenti anche alla guerra in Iraq e a manifesti anti-Bush, diventa via via più introspettivo fino a toccare i temi della pace, della giustizia e dell’uguaglianza. L’artista dichiara: “Attraverso la mia arte voglio ricordare alla gente l’uguaglianza di tutte le persone , indipendentemente dalla loro razza, religione, nazione o cultura. Non c’è un noi contro loro, c’è solo un noi”. Nella sezione della mostra “Pace e giustizia” e “Musica” si possono incontrare i volti di John Lennon, di Bob Marley, fautori di messaggi di pace e uguaglianza, ma anche quelli ribelli di Kurt Cobain e di Syd Vicious, solo per citarne alcuni. Tratti essenziali e fermi, segni d’eternità, dentro una palette di colori minimalista (rosso, nero, bejge, azzurro), che si ispirano al Costruttivismo Russo, alle Avanguardie e in particolare ai fratelli Stenberg e Alexander Rodchenko.

Nella sezione “ambiente” OBEY tratta le tematiche della tutela dell’ambiente e come David Lynch in alcune sue fotografie e disegni, pone l’attenzione sulla minaccia delle fabbriche sull’ambiente. Significative sono le opere Paradise Turns, Paint it Black e Tear Flame. In Paint it Black, per esempio, Shepard, come Mick Jagger che nel brano dei Rolling Stones del 1966 dal titolo omonimo, evoca la depressione causata dalla perdita di una persona cara, nell’opera piange la Madre Terra sempre più inquinata e dipinta di nero a causa dell’uomo.

La mostra OBEY The Art of Shepard Farey è un viaggio nella street art, che, dalla strada ha “coinquistato” nuovi spazi urbani, come la Fabbrica del Vapore, una ex Fabbrica appunto, oggi contenitore d’arte e officina creativa nella città di Milano. L’Arte di OBEY è quanto mai attuale nel periodo storico e politico che stiamo attraversando e apre spunti di riflessione sull’attualità, ma anche, è un invito a guardarci dentro e a interrogarci.

Mi piace concludere con una domanda che è OBEY stesso a porci in una sua opera: ARE WE BETRAYING THE PLANET?

Lavinia Laura Morisco

Lavinia Morisco