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Le organizzazioni moderne sono basate su standard ben diversi da quelli passati. Oggettivamente negli ultimi anni le risorse umane hanno cambiato modalità e stile di vita nonché la visione globale della loro presenza nel mondo e nel lavoro. La continua pressione a cui è sottoposto L’organigramma aziendale, spinge spesso il manager a gestire le risorse in modalità high performance facendo perdere di vista che, fondamentalmente, ha a che fare con persone che , in quanto tali, hanno sì voglia di dimostrare il loro valore ma che tuttavia hanno singole necessità basate sulla loro visione del mondo.

Non apriamo inutili dibattiti sul fatto che capita di incontrare collaboratori ingrati, questo fa parte della natura umana e ritengo personalmente che ogni manager debba porsi una domanda essenziale:

QUESTO COLLABORATORE È UTILE AL MIO PROGETTO?

Se la risposta è positiva, allora è compito del manager mettere in atto tutte le tecniche per poter agevolare ed incentivare lo sviluppo del talento a favore degli obiettivi. In caso di risposta negativa, in maniera razionale, bisogna prendere decisioni anche estreme. Non ritengo sia possibile migliorare chi rifugge il miglioramento guardando esclusivamente i dei propri interessi anziché il risultato comune È ovvio che il manager deve utilizzare il principio del buon padre di famiglia,  ma è altrettanto scontato che non può sostenere come un padre dei figli che perseverano nel malcostume. Il suo obiettivo è la crescita aziendale e di conseguenza la sua visione deve essere globale per salvaguardare l’intera “famiglia”.

Posto il vincolo che le mie parole sono dedicate alle risorse meritevoli, il dilemma è:
COME TRASFORMARLE IN COLLABORATORI OUTSTANDING?
Attraverso tecniche mirate che portano il collaboratore a sentirsi parte del progetto e dell’azienda come spiega la stessa parola “RISORSA UMANA”, che analizzata risulta:

RISORSA – Qualsiasi fonte o mezzo che valga a fornire aiuto, soccorso, appoggio, sostegno                                                                                                           

UMANA – Si riferisce a tutto ciò che riguarda l’uomo o che è proprio degli uomini

Quindi quando pensiamo alle risorse umane nella nostra organizzazione, dobbiamo soffermarci nel chiarire che non si parla più dell’ormai passata visione dell’operaio sottomesso pur di ricevere lo stipendio, ma di un essere umano con le sue priorità che deve essere portato a sostenere, aiutare, appoggiare e soccorrere la propria azienda. Ribadisco che nella mia modesta visione tutto ciò parte da un fondamento che va oltre lo stipendio e che di ottiene con coraggio, fiducia, empatia e autorevolezza, che porti il collaboratore a sentirsi parte dell’organizzazione ed  il suo lavoro parte essenziale di un risultato più grande.

  IL PUNTO DI PARTENZA

Per iniziare questo processo è essenziale la volontà e la sensibilità dei manager nel segnare con chiarezza dei punti fondamentali chiari a tutti. Innanzitutto partirei con la mission e la vision condivisa ossia il perché lo fai e dove vai, rendendo palese e reale che la crescita dell’azienda equivale alla crescita ed al miglioramento del ruolo. A questo è strettamente legata la formulazione e condivisione di obiettivi a lungo termine definendo gli step di obiettivi a breve termine atti a conseguirli. Infine, spesso sottovalutato, la stesura ed affissione dell’organigramma dove è definito senza possibilità di interpretazione “chi fa cosa” ed “a chi rivolgersi per”.

SVILUPPO PERSONALE

Quando è chiaro COSA SI FA,  PERCHÉ SI FA e DOVE SI VA,  si può procedere e pensare a COME fare per mettere il motore, ossia i collaboratori, nelle giuste condizioni per correre e vincere. In passato, ma a dire il vero a volte ancora oggi, il titolare o manager assumeva questo ruolo in maniera superficiale e soprattutto per controllo piuttosto che per aiuto, sottovalutando l’importanza di avere uno staff sano e soprattutto la difficoltà che incontra un collaboratore ad aprirsi serenamente con il suo titolare. Molto più indicato ed efficiente oggi è l’intervento di un coach interno che, attraverso incontri individuali,  segua e conosca, con estrema discrezione, le peculiarità e gli stati d’animo dei singoli, guidandoli alla formulazione di risposte tali da comprendere il loro ruolo nell’organizzazione; spostandoli così dalla modalità lamentela/frustrazione alla più produttiva serenità/soluzione. Le domande di coaching sono a risposta aperta, cioè non si risolvono con un sì o un no, stimolano la riflessione e invitano i collaboratori a tenere le redini della conversazione ed a trovare autonomamente una soluzione ai loro problemi; in pratica il coach fa domande, non da risposte. “Coaching” significa rispettare le competenze dei collaboratori, essere convinti che abbiano le capacità necessarie per crescere e spronarli a risolvere i problemi, a ragionare in modo nuovo ed a sviluppare il loro talento. Il coach a differenza del titolare o manager, ha quest’unico obiettivo e lo persegue con dedizione e competenze specifiche dedicando il giusto tempo in massima concentrazione. Dare a un collaboratore la piena attenzione, cosa piuttosto rara al giorno d’oggi, segnalerà un profondo rispetto nei suoi confronti che viene ricambiato con gratitudine ed impegno. Il coach, avendo chiara la situazione emozionale, funge da ponte di comunicazione tra azienda e collaboratori permettendo ad entrambe di comprendersi meglio e trovare quel giusto equilibrio prosperoso.

Far si che ogni collaboratore faccia chiarezza nella formulazione dei propri obiettivi, lo porterà a trovare dei punti di unione con quelli aziendali con la naturale conseguenza della consapevolezza che l’uno è collegato all’altro e quindi allo scopo della sua presenza nell’organizzazione.

Nelle modalità lavorative moderne lo stress a cui sono sottoposti i collaboratori è latente e prepotente; questo spesso porta gli stessi a vivere situazioni e stati d’animo che difficilmente riescono a condividere con i propri colleghi o superiori, portandoli ad una frustrazione che si riversa anche nella vita personale alimentando insoddisfazione, ansia e voglia di cambiamento. Non possiamo legare a noi i collaboratori, ma certamente possiamo metterli nelle condizioni di sentire che con noi sono in una situazione di benessere che difficilmente vorranno cambiare. Perdere un valido collaboratore, comporta la perdita del suo valore all’interno dell’organizzazione che si sposterà probabilmente ad un competitor e soprattutto l’investimento di tempo e denaro per formare un’altra risorsa all’altezza.

Non bisogna sottovalutare gli stati d’animo personali dei collaboratori perché inevitabilmente andranno a riversarsi sulla situazione lavorativa e quindi di conseguenza sui risultati. Spesso si ribadisce la regola che non si portano i problemi personali sul lavoro, purtroppo questi, volenti o nolenti influiscono anche in maniera incisiva ed il miglior modo per risolvere non è attraverso l’autorità, ma con il sostegno rimarcando l’appoggio umano dell’azienda con conseguente gratitudine del collaboratore.

TEAM BUILDING

Contestualmente allo sviluppo della serenità individuale, si prosegue con quello dei reparti. Il team building nelle aziende odierne è considerato elemento essenziale per migliori risultati e riuscire a creare un ambiente coeso è uno degli obiettivi principali da raggiungere per la crescita aziendale. Non basta la cena di fine anno o quella improvvisata dove spesso si riconoscono ben distinte le fazioni che non perdono occasione per denigrare il lavoro altrui. Il team building ha l’obiettivo di far superare determinati limiti che si creano spesso a causa di una comunicazione aziendale poco chiara, o in caso di inserimento di nuove risorse per ampliamento organico o fusioni aziendali. Sono eventi che si possono svolgere indoor o outdoor coinvolgendo il team in momenti esperenziali e di divertimento.

Antonio Brazzo

Redazione

Lsd sta per Last smart day, ovvero ultimo giorno intelligente, ultima speranza di una fuga da una cultura ormai completamente omologata, massificata, banalizzata. Il riferimento all'acido lisergico del nostro padre spirituale, Albert Hofmann, non è casuale, anzi tutto parte di lì perché LSDmagazine si propone come cura culturale per menti deviate dalla televisione e dalla pubblicità. Nel concreto il quotidiano diretto da Michele Traversa si offre anzitutto come enorme contenitore dell'espressività di chiunque voglia far sentire la propria opinione o menzionare fatti e notizie al di fuori dei canonici mezzi di comunicazione. Lsd pone la sua attenzione su ciò che solletica l'interesse dei suoi scrittori, indipendente dal fatto che quanto scritto sia popolare o meno, perciò riflette un sentire libero e sincero, assolutamente non vincolato e mosso dalla sola curiosità (o passione) dei suoi collaboratori. In conseguenza di ciò, hanno spazio molteplici interviste condotte a personaggi di sicuro spessore ma che non trovano spazio nei salotti televisivi, recensioni di gruppi musicali, dischi e libri non riconosciuti come best sellers, cronache e resoconti di sport minori, fatti ed iniziative locali che solitamente non hanno il risalto che meritano. Ma Lsd è anche fuga dal quotidiano, i vari resoconti dai luoghi più suggestivi del pianeta rendono il nostro magazine punto di riferimento per odeporici lettori.