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Al Sud un tempo i panni si lavavano nei lavatoi, non era il tempo della lavatrice e dell’asciugatrice della nostra attualità. Perché ricordarsi degli antichi lavatoi in questo tempo di grande benessere dove tutto viene lasciato alla tecnologia? Presto detto: il lavatoio era luogo di incontro, di fatica, di condivisione di idee e pensieri e per dirla tutta di grandi pettegolezzi, dove la voce dei bambini che le mamme dovevano portarsi dietro la faceva da protagonista. Era luogo di vita reale, una seria testimonianza di vita sociale dove tante passate generazioni in alcuni momenti hanno scritto la storia del loro tempo. Una storia di donne vere, autentiche, ferrate e dure nel guardare al di là della siepe che non ammetteva giustificazioni o tutele rose o rosse che potevano essere. Lavatoi e lavandaie che anche nella terra di mezzo hanno costruito un tempo buono, oserei dire normale, giusto, fatto di ingredienti essenziali mescolate tra la forte identità e l’architettura dei luoghi; vere opere d’arte ormai dimenticate dal tempo. Un lavatoio, piccolo manufatto, dove le donne dei paesi si raccoglievano dalle prime ore del mattino fino alle prime del pomeriggio per lavare e rilavare stracci e panni intimi della loro famiglia. Tra una canzone, una poesia, un canto altisonante le anziane insegnavano alle giovani donne il modo di lavare, risciacquare e rimettere il tutto in appositi contenitori da trasportare nelle proprie abitazione per poi appenderle su ferri di fortuna costruite sulle terrazze e lasciate che il vento di tramontava completasse l’opera di asciugo. La storia del lavatoio appare antica. Da una brevissima ricerca questo importante manufatto appare in Italia nel corso del 1500, per poi diffondersi progressivamente solo a partire dalla metà del XIX secolo con il progresso dell’igiene e della medicina. Proprio in questo secolo i lavatoi si diffusero un po’ ovunque, anche nei centri più piccoli dove gli abitanti chiedevano agli amministratori, attraverso petizioni scritte e lettere, la costruzione di un lavatoio comunale. Il periodo a cavallo tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del XX è il periodo d’oro dei lavatoi, ormai diffusi praticamente in ogni centro abitato, rimasti costantemente in uso fino almeno alla metà degli anni ’50 nelle città e fino agli anni ‘70 nei centri più piccoli o isolati, fino a quando non arrivò l’acqua corrente nelle case. Il lavatoio nella terra Lucana, come raccontato dagli anziani attuali permetteva di fare il bucato anche ogni 7-10 giorni. Tutto dipendeva dalla stagione. In inverno il procedimento era molto complesso e avveniva non più di una volta al mese, in conche di terracotta o nelle zangole di legno. D’estate la fatica era più lieve soprattutto venivano utilizzate torrenti e fiumi in quelle frazioni dove c’erano corsi d’acqua vicini all’abitato. In Lucania tante le testimonianze ancora presenti che al cospetto i nostri pensieri vogliono tornare a Itaca. A Tramutola c’è quello chiamato ‘Ngap l’acqua” (prendi l’acqua) dove si possono ascoltare ancora le voci delle massaie inginocchiate ai suoi bordi per lavare i panni. A Genzano di Lucania ne troviamo uno dove le donne vestite di nero con il fazzoletto in testa e grembiule piene di rughe, ricurve su sé stesse lavavano i loro abiti. A Francavilla sul Sinni le tre fontane- Lavatoi che serviva tutta la zona bassa intorno alla chiesa e del “timpone”. Senza dimenticare la cosiddetta “Fontana grande” verso la zona dei “pantoni” vera opera muraria dove si lavavano i panni e si facevano abbeverare gli animali. A Rionero in Vulture c’è  una bellissima foto che ritrae una fontana –lavatoio  per alcuni detta la fontana dei morti (tratto dal libro – Rionero in Vulture Fontana e lavatoio Potenza Basilicata). Per non dimenticare il lavatoio pubblico di Avigliano, lungo la strada provinciale 6 attualmente ristrutturato addirittura da un’associazione di donne (Gruppo Coordinamento Donne Avigliano), quello di San Giovanni a Marsiconuovo e l’ex lavatoio Bagno (si trova nel quartiere denominato “Bagno”) a Melfi. Il lavatoio è tra le migliori bandiere della terra di Lucana. Rappresenta la fatica, l’amore, la povertà, il disagio, l’eccezione dove i panni sporchi alcune volte non si lavavano in famiglia. Ma era il luogo della condivisione della riconciliazione un luogo aggregativo vero quello che oggi si è voluto cancellare lasciandoci tutti soli a vagare senza sapere il perché.

Oreste Roberto Lanza

 

 

 

 

Oreste Roberto Lanza

Oreste Roberto Lanza è di Francavilla Sul Sinni (Potenza), classe 1964. Giornalista pubblicista è laureato in Giurisprudenza all’Università di Salerno è attivo nel mondo del giornalismo sin dal 1983 collaborando inizialmente con alcune delle testate del suo territorio per poi allargarsi all'intero territorio italiano. Tanti e diversi gli scritti, in vari settori giornalistici, dalla politica, alla cultura allo spettacolo e al sociale in particolare, con un’attenzione peculiare sulla comunità lucana. Ha viaggiato per tutti i 131 borghi lucani conservando tanti e diversi contatti con varie istituzioni: regionali, provinciali e locali. Ha promozionato i prodotti della gastronomia lucana di cui conosce particolarità e non solo.