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Per conoscere la storia della Lucania bisogna sempre indagare ed essere curiosi. A Rapolla, appena quattromila abitanti, borgo in provincia di Potenza, noto per la produzione vinicola, olivicola e di turismo termale, risiede un importante sarcofago dell’età romana imperiale, che ha una storia affascinante. Sembra abbia inizio nel lontano 1856 quando venne casualmente scoperto durante gli scavi per la costruzione di una strada in contrada Albero in Piano di Rapolla, nei pressi di una grande villa romana lungo il percorso della via Appia. Appartenuto a un personaggio di alto rango, è testimonianza dell’importanza e della ricchezza del territorio durante l’età romana imperiale. Un dettaglio che da sembra intrigare gli esperti e gli storici è quello che il sarcofago si trovi su un basamento con una delle sue facciate lunghe celate alla vista. Le pagine di storia raccontano che al momento del ritrovamento il sarcofago fu trasferito a Melfi con l’intenzione di farlo giungere al Museo Borbonico di Napoli, ma rimase a Melfi, trovando la sua dimora definitiva nel museo archeologico sito nel castello normanno-svevo della città. Sul coperchio giace la raffigurazione della giovane defunta cui era destinato. Presso il capo si trova un amorino con la fiaccola volta verso terra, simbolo della morte e ai piedi un cane di cui sono rimaste le zampe, asportato quando il manufatto era conservato all’aperto nella piazza di Melfi. La giovane con la destra mano sostiene un mazzolino di fiori. Sotto il fregio di tritoni e mostri marini sono cinque nicchie in oggi lato lungo, tre nel lato corto e due nell’ultimo, dove è una porta a due battenti. Sotto la cimasa dei tritoni le nicchie, separate da sedici colonne scanalate a spira, contengono statuette di numi ed eroi scalpellate a forte rilievo. Questo è quanto descritto dagli esperti che ne hanno ritrovato il manufatto indicando che la giovane donna appartenesse alla gens Cornelia una certa Emilia Sauro figliastra del dittatore romano Lucio Cornelio Silla. Studi recenti, nel 1995, la studiosa cerca di portare alla luce i committenti del Sarcofago, evidenziando un collegamento iconografico tra la figura della defunta e la Venere con lo scudo, situata al centro del lato presunto anteriore del sarcofago. Questa Venere, secondo Ghiandoni: “È una derivazione della celebre Venere di Capua, un tipo scultoreo utilizzato anche dalle imperatrici Antonine per fini propagandistici”. Ma nell’attualità poche sono le informazioni circa l’entità dei committenti. Gli storici tutti, in particolare Antonio Cecere da Rionero in Vulture, dichiara trattasi di “Una storia straordinaria che il Vulture ha da raccontarci si dai tempi più remoti”. La curiosità è che fino a qualche tempo fa lo studio dei sarcofagi riguardava solamente quelli ritrovati in area urbana ora l’interesse ha assunto altre direzioni. Un salto a Melfi va fatto per apprezzare l’intera opera e con essa la storia al seguito.
Oreste Roberto Lanza