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(Adnkronos) – Michelle Causo e il mistero dei presunti messaggi inviati da Treviso, dove è detenuto il ragazzo oggi maggiorenne accusato dell'omicidio della ragazza romana trovata morta in un carrello della spesa a Primavalle. Da una parte c'é un padre, Gianluca Causo, che un anno e due mesi dopo l'omicidio della figlia Michelle non dorme più la notte. Che all'Adnkronos racconta di messaggi provocatori ricevuti da profili falsi sui social con indirizzo Ip sempre Treviso, la stessa città dove si trova recluso il ragazzo. "Dal carcere si collega in rete e si prende gioco di noi", accusa. Dall'altra c'è il direttore di un Istituto Penale per Minori che scoppia, con venti detenuti, erano venticinque fino a pochi giorni fa, su una capienza regolamentare di dodici. "Da padre di cinque figli capisco il papà di Michelle – dice all'Adnkronos -, ma smentisco categoricamente l'uso indiscriminato di internet dal carcere". Sono entrambi due padri, a uno hanno ammazzato la figlia due giorni dopo il suo 17esimo compleanno. L'altro lotta a mani nude contro un istituto penitenziario che, tra caldo, sovraffollamento e casi di scabbia tenta di insegnare qualcosa a dei ragazzini senza futuro. Gianluca Causo è convinto che chi le ha ammazzato la figlia abbia avuto accesso a internet durante l'ora di informatica: "Lo ha riferito un poliziotto penitenziario, seppur in forma anonima – ribadisce all'Adnkronos – Che interesse avrebbe a dire una cosa del genere e perché non fanno le opportune verifiche?". "Smentisco nel modo più assoluto – risponde all'Adnkronos Girolamo Monaco, direttore dell'Ipm di Treviso -. Bottega Grafica è un corso di grafica pubblicitaria; il professore è stato da me autorizzato ad accedere a YouTube per far vedere alcuni video legati alla materia". "Prima hanno negato qualsiasi collegamento alla Rete durante la lezione di informatica, ora lo ammettono, ma con questa nuova precisazione – ribatte all'Adnkronos il papà di Michelle – A me intanto continuano ad arrivare messaggi da Treviso. Pretendo che Nordio mi dia spiegazioni, che il poliziotto che ha raccontato dei collegamenti a internet venga ascoltato". "Ho molto rispetto del padre, perché il dolore che prova è grandissimo. Ma lui probabilmente confonde quello che succede in altri istituti con quello che accade qui a Treviso, facendo probabilmente di tutta l'erba un fascio, riferendosi magari a quanto sarebbe accaduto in altri penitenziari", continua il direttore dell'Ipm veneto. "Escludo che il detenuto possa essersi collegato a internet, e se c'è qualcuno che ha prova di questo, può anche adire la magistratura. E' impossibile che il professore abbia dato modo ai detenuti di collegarsi autonomamente, la prima denuncia l'avrei fatta io. A parte che ci sono le telecamere ovunque. Ma poi è sempre seguito da un agente. Non è che c'è un rapporto uno a uno". "Questo ragazzo – continua il direttore, riferendosi al giovane cingalese accusato del delitto – è un detenuto come tutti gli altri, che soffre la sua detenzione come tutti gli altri. Non è l'unico omicida che io ho qui. Non è l'unico imputato per violenza. Lui è il figlio di questa cultura, partecipa alle attività con gli altri, nella normalità. Non emerge per leadership. Anche perché lui conosce bene l'esperienza di Roma dove è stato e dove non è potuto restare perché lì veniva vessato, insultato. Quindi qui ha un profilo molto basso, assolutamente non crea problemi. Perché, non potendo rimanere a Roma, è venuto qui? Perché tra tutti gli istituti dove avrebbero potuto mandarlo, hanno individuato Treviso? Perché poi noi riusciamo a impugnare e a gestire le situazioni, non le nascondiamo. Lui sta facendo il suo percorso anche di responsabilità rispetto al reato". "Il mio problema qui non è né la fuga, né la rissa o la rivolta. Il mio problema in questo momento è la scabbia che affligge diversi detenuti. Il mio problema è il caldo nelle celle. Il mio problema è il sovraffollamento – insiste Monaco – Io sento veramente da cittadino, da padre, tutta la sofferenza del papà di Michelle e sento anche la sua solitudine, perché in un percorso di giustizia riparativa anche lui doveva essere seguito e sostenuto. E invece di fatto è abbandonato. Lui qui nella sua rabbia ha chiamato più volte, lamentandosi, ma questo non è un albergo, questo è un carcere della Repubblica Italiana sottoposto alle leggi dello Stato italiano. E su questo garantisco io". "Sento veramente il bisogno di abbassare il livello mediatico su questa storia. Uno stato virtuoso deve avere cura deve avere cura sia del reo che della vittima. La vittima stessa è stata buttata in pasto ai media. Mamma mia che pena – continua – Questo processo così pubblicizzato, così forte. Qui tutti sono vittime. È vittima la madre del reo. È vittima la famiglia di Michelle. E la vera sconfitta è la società, in questo mondo di like, di questa cultura malata. Mi sento di dire, però, che il Ministero è intervenuto quando abbiamo avuto sovraffollamento, mi ha aiutato ad alleggerire la pressione, ma soprattutto mi ha dato undici agenti in più dal mese di luglio. E ha significativamente migliorato la qualità. I detenuti hanno il loro programma di trattamento individualizzato, che funziona. Tra cui questa Bottega Grafica, un corso storico che produce brochure, volantini per il privato sociale, un progetto che negli anni scorsi ha fatto impiegare anche alcuni operai, perché è un corso professionalizzante". (di Silvia Mancinelli) —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)