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(Adnkronos) – Giorgia Meloni il 28 luglio atterra a Pechino, dove incontrerà i tre massimi vertici del Partito Comunista: il presidente Xi Jinping, il primo ministro Li Qiang, e il presidente del comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo, Zhao Leji, già segretario della Commissione per l’ispezione della disciplina, l’organo che ha eseguito le purghe (su ordine di Xi) di chi è stato accusato di corruzione. Per analizzare i punti salienti della visita, Adnkronos ha contattato Lorenzo Termine, docente di Relazioni internazionali all’UNINT e coordinatore della ricerca di Geopolitica.info. Per il Maeci ha coordinato il progetto ITAsia sulla politica estera italiana verso l'Asia. “Bisogna dividere il discorso in due parti: il contesto e la visita in senso stretto. Partiamo dal contesto: nell’ultimo anno ci sono stati degli sviluppi notevoli che limitano il perimetro di questi incontri. Primo, il summit Nato di Washington, con un comunicato finale che parla per il terzo anno di seguito di ‘preoccupazione seria’ per quanto riguarda la Cina, con l'aggiuinta di un passaggio che cita esplicitamente il sostegno cinese allo sforzo bellico russo, tema su cui gli americani insistono in modo molto determinato e su cui chiedono l’allineamento dei paesi amici. È notizia di queste ore la fornitura cinese alle aziende bielorusse sanzionate, che infrange le promesse di Pechino di non contravvenire al sistema delle sanzioni. Un assist perfetto per gli Usa nel dimostrare che ‘l’amicizia senza limiti’ tra Xi Jinping e Vladimir Putin ha conseguenze nefaste per Kyiv”. “Il secondo fattore”, prosegue l’esperto, “è la presidenza italiana del G7. Giorgia Meloni sbarca a Pechino con un cappello aggiuntivo, che comporta un certo peso. Nei comunicati finali delle riunioni ministeriali si è parlato di Cina, in alcuni più velatamente, in altri più nettamente, come quando a Capri i ministri degli Esteri hanno affermato la necessità di ‘mantenere lo status quo nell’Indo-Pacifico’ e di includere Taiwan nelle organizzazioni internazionali. Ecco, per la Cina si tratta di due anatemi: non vuole affatto mantenere lo status quo nella regione, e si vede nelle schermaglie nel Mar Cinese Meridionale con le Filippine, né tantomeno dare una ‘statualità’ all’isola che considera una provincia ribelle. Terzo punto, l’uscita dalla Belt and Road Initiative, la cosiddetta Via della Seta, che è stata gestita in modo egregio dal governo evitando tensioni e fratture, ma che non facilita la visita che sta per iniziare". "Quarto – continua – la presenza sempre più attiva dell’Italia nella regione indo-pacifica prima con il passaggio di singole navi poi con il gruppo di portaerei insieme a Francia e Spagna. In questi giorni partecipiamo alla Rimpac, la più grande esercitazione navale al mondo, alla quale si uniscono i paesi ‘like-minded’ che in testa hanno soprattutto la Cina. Quinto, la cooperazione sempre più stretta in campo di sicurezza con gli attori principali della regione tranne la Cina: Corea del Sud, Giappone, Filippine, Vietnam. Il presidente vietnamita appena scomparso, ad esempio, l’anno scorso era in Italia per visite ai massimi livelli. Infine, penso che non sia il momento per l’Italia di fare fughe in avanti, non prima di sapere chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti”. Parlando della visita, Lorenzo Termine spiega che “alla luce degli elementi messi in campo finora, l’obiettivo sarà prettamente economico-commerciale, con un ‘contorno’ di temi globali e non politicamente controversi: cambiamenti climatici, desertificazione, sicurezza alimentare. Commercio e global issues: questi i due dossier che una media potenza come l’Italia può discutere (e su cui può stringere accordi) in Cina senza turbare gli equilibri occidentali. Il momento centrale sarà dunque il business forum Italia-Cina, al quale parteciperanno alcune delle nostre aziende più importanti: Eni, Leonardo, Iveco, Fincantieri, Snam, Prysmian, Pirelli, Intesa, Generali, Prada, Dolce&Gabbana…Da questa lista parziale si capisce il focus, ovvero energia, tecnologia e le tre F (food, fashion, furniture)". "C’è interesse nel settore automobilistico, con l’Italia che ha invitato aziende cinesi a investire nel nostro Paese (BYD su tutte). Anche se è un argomento scottante, vista la guerra che gli americani fanno ai veicoli elettrici cinesi e i recenti dazi imposti dall’Unione europea. Per questo non è facile portare una fabbrica cinese in Italia. Poi il turismo: la Cina ha da qualche meso tolto la necessità del visto per gli italiani, e il nostro governo vuole incoraggiare maggiori flussi di viaggiatori, potrebbe esserci un accordo su questo dossier”. In conclusione, secondo il docente, “l’obiettivo è chiudere la visita con un comunicato amichevole ma con toni moderati, che punti su accordi B2B o accordi quadro (ma quelli sono stati già portati avanti dalle precedenti visite ministeriali), senza slanci. Il partenariato strategico Italia-Cina, che nel 2024 compie 20 anni, è ormai quantomeno monco: un’intera sezione, quella dedicata al contrasto della pirateria e al peacekeeping, oggi non può essere certo approfondita. Basta pensare a un fatto: i primi a essere avvantaggiati dalla crisi nel Mar Rosso e dagli attacchi degli Houthi sono i cinesi, perché i loro cargo non sono oggetto di interferenze, a differenza di quelli italiani, europei e americani. Una minaccia marittima diretta all’Italia che avvantaggia i cinesi. Difficile cooperare nella sicurezza marittima quando la situazione è questa". "Ci sarà molta insistenza retorica sulla ‘parità settoriale’: ovviamente non siamo sullo stesso piano dimensionale, ma in alcuni settori Italia e Cina possono essere complementari. Il grande assente è un documento strategico nazionale, che dica quale deve essere la nostra postura nei confronti della Cina e coordini i dicasteri e l’azione di governo. Molti paesi ce l’hanno, noi rischiamo sempre uno sfilacciamento delle iniziative e dei contatti bilaterali”. (di Giorgio Rutelli) —internazionale/esteriwebinfo@adnkronos.com (Web Info)

Redazione

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