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(Adnkronos) –
Il caso di Chiara Ferragni? "La donazione è stata fatta, quindi non c'è inganno. Questa vicenda è un pasticcio che ha creato molta confusione, scoraggiando le aziende a fare beneficenza e danneggiando molto il terzo settore". Non usa mezzi termini Paolo Landi, consulente di comunicazione per aziende e co-autore con Marco Montanaro, del libro 'Dalla parte di Chiara: Il caso Ferragni e la società incivile' (Krill Books editore), che con l'Adnkronos difende l'imprenditrice digitale, Chiara Ferragni, finita al centro di un polverone mediatico e legale per il 'pandoro gate' e le uova griffate. Nel caso del pandoro Balocco, Ferragni ha scelto di non chiedere l’annullamento delle sanzioni da 1 milione di euro, mentre per le uova pasquali, le sue società hanno donato volontariamente 1,2 milioni di euro all’impresa sociale ‘I Bambini delle Fate’. "Siamo totalmente controcorrente, mentre tutti sono contro la Ferragni, noi la difendiamo", racconta Landi che spiega: "Mi sono sempre occupato di charity, cercando di convincere le imprese in cui lavoravo a destinare una parte del loro budget marketing per operazioni di beneficenza, soprattutto in situazioni di emergenza". Operazioni che non sono sempre facili. "Le campagne contro l'Aids, il cancro al seno o per i bambini malati spesso non ricevono un'accoglienza calorosa dal pubblico. Le persone non comprano facilmente prodotti che promuovono queste cause", afferma Landi, spiegando che è prassi comune fare donazioni preventive all'ente ricevente per garantire un minimo di supporto economico indipendentemente dalle vendite. "Balocco ha fatto esattamente questo con la sua donazione di 50.000 euro. Tuttavia, molti pandori sono rimasti invenduti e mandati al macero, il che dimostra che la campagna non ha avuto il successo sperato". "Se Balocco ha donato 50.000 euro all'ospedale prima di iniziare la campagna, non si può parlare di pubblicità ingannevole. Che poi la somma possa sembrare poca o molta è un altro discorso, più morale che legale. Ma non si può dire che sia pubblicità ingannevole Perché la donazione è stata veramente fatta". Questa confusione, avverte Landi, potrebbe scoraggiare altre aziende dal fare beneficenza. "Questa vicenda ha dato alle aziende un alibi per non fare più beneficenza. Già era difficile prima convincerle a destinare parte del budget alle cause benefiche. Ora, con questo caso, molte aziende potrebbero tirarsi indietro per paura di incorrere in problemi simili".
C'è poi l'odio social. "L'influencer che non è odiato è un influencer morto. Questo sistema di influencer, di essere su Instagram e sui social, ha veramente necessità di cuori, di like e di haters. L'influencer si vivifica soltanto così. Se tutti lo amano e basta, muore", afferma Landi che pone però l'accento sull'odio moralistico della vicenda. "Tutti gli italiani che si scoprono buoni, solo lei è cattiva, solo lei ce l'ha con i bambini malati. È una cosa ridicola". Infine, Landi riflette sull'evoluzione del lavoro. "Gli influencer prefigurano un futuro in cui il lavoro cambierà. Ci hanno sempre detto che tutti i tycoon della Silicon Valley hanno fatto miliardi da giovanissimi con un'idea, senza fare fatica. In qualche modo, gli influencer prefigurano questa idea che si può guadagnare senza fare nulla". Rappresentano un nuovo modo di fare pubblicità che sfida i vecchi spot delle agenzie pubblicitarie. "Gli influencer non sono interessanti per quello che raccontano, ma per quello che prefigurano, che succederà nel mondo", conclude. —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)