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Nella notte dei tempi delle leggende si racconta di una tribù che adorava il Dio di nome Silenzio. Un Dio molto severo, perché non voleva che le persone parlassero fra di loro, creando confusione. Il popolo, però, era triste, perché amava parlare. Un giorno la tribù, stanca di non poter conversare, chiese aiuto alla Dea Chiacchiera, la quale si recò dal Dio Silenzio e cominciò a parlare ininterrottamente fino a fargli venire un terrificante mal di testa, tanto da farlo scappare. Il popolo, contento di poter finalmente discutere, decise di festeggiare l’evento cucinando un nuovo dolce. Mentre lo stavano preparando, incominciò a nevicare, la neve si trasformò in zucchero a velo che si depositò sul dolce. La tribù, in onore della Dea, lo chiamò chiacchiera. “Ma quanto chiacchieri”, è il sibilo, suono acuto e sottile, che la leggenda ha trasformato in storia e in alcuni casi in momenti di poesia e di discussione tra le parti protagoniste; fortemente vigente ancora nel vivere civile quotidiano. Parlare a lungo, di cose futili e oziosamente, parlare a sproposito e in modo sconclusionato, conversare a bassa voce o in modo inopportuno, parlare e rivelare cose che si dovrebbero tacere o che possono compromettere, chiacchierare parlando male arricchendo il discorrere  di persona sul cui conto si fanno molti pettegolezzi, o di cosa in genere su cui si fa un gran parlare, che suscita discussioni, interesse, scalpore, sono solo alcune semplici modalità di approccio con cui le persone si legano al tempo dell’ozio. La chiacchiera a Nord della penisola pare essere un breve momento di saluto per chi non si vede da tempo, oppure l’attimo per un consiglio o forse per una valutazione rapida sullo stato di salute di persone che per destino o causalità si incontrano sullo stesso percorso: “ti trovo bene in salute”; “non sei cambiata dall’ultima volta che ci siamo visti”. Senza aggiungere qualche dato temporale dell’ultimo incontro perché non ben archiviato nella memoria delle parti. Al Sud la chiacchiera è un momento istituzionale che porta con sé un tempo ben definito per sviluppare contenuti e contorni dell’argomento, che si ha interesse ad ampliare. Sono necessari tempi ben definiti: venti minuti circa per parlare sullo stato di salute della famiglia in linea diretta, fino a capire se anche gli Affini stanno bene o se qualche malattia li ha sorpresi per poi utilizzare la magica parola: “quanto mi dispiace, questa non ci voleva. Fammi sapere, spero che non sia nulla di grave”. Ben oltre mezz’ora invece se la chiacchiera è diretta a sapere come stanno i figli, quanti anni hanno, cosa fanno e se qualcuno si è sposato per poi approfondire il tema della somiglianza di uno o dell’altro al padre o alla madre. Si può arrivare oltre l’ora di tolleranza se il discorrere coglie due donne con una certa età e soprattutto se il loro vissuto non riguarda il tempo presente: “ai nostri tempi non avevamo la testa fresca”. Se poi la chiacchiera dovesse riguardare lo specifico del proprio vissuto allora ci vuole proprio un invito a casa, per spiegare cose che le orecchie della strada non devono sentire. “Da quando mi sono sposata la mia vita è cambiata, mio marito non mi aiuta, forse non era l’uomo giusto”. Diversa la versione maschile che ben si può spiegare all’aperto senza sentirsi condizionato. La chiacchiera è la politica, quella locale innanzitutto, sono stati sempre amici di ventura e sventura: “si è candidato in quel partito dopo che è stato in un altro”; “manco la moglie lo ha votato”; su quel politico non bastano due serate seduti sul muretto per raccontarti dal padre alla madre, per non parlarti dei nonni”. La chiacchiera alcune volte è un mezzo per arrivare all’ufficio anagrafe senza nessuna prenotazione diretta presso l’ufficio del comune. La chiacchiera è anche mezzo terapeutico per aiutare le persone in un momento di malinconia o di depressione: “pensa alla salute”; sono solo parole al vento”; “quello non capisce niente vuole solo farti arrabbiare”; “si chiude una porta e si apre un portone”. In molti casi la chiusura della porta non sempre è sincronizzata con l’apertura del portone, che per molto tempo resta chiuso. Sulla chiacchiera se ne dicono tante: “se si tace per un anno, si disimpara a chiacchierare e si impara a parlare”; “non sei niente, sei solo chiacchiere e distintivo”; “Conosco solo un uccello, il pappagallo, che parla e non può volare molto alto”; “Se la tua mente non è aperta, tieni anche la tua bocca chiusa”. Insomma chiacchierare è uno stile tutto nostro, un momento dove al Sud è l’ultima speranza che resta alla razza umana dove il meno bello diventa bello, bruttezza e bellezza tendono ad avvicinarsi. Chiacchierare forse, forse è il vero segreto della vita per distrarsi, dimenticandosi che esiste la morte. Al Sud tutto ciò è da sempre ben compreso.

 

Oreste Roberto Lanza

Oreste Roberto Lanza

Oreste Roberto Lanza è di Francavilla Sul Sinni (Potenza), classe 1964. Giornalista pubblicista è laureato in Giurisprudenza all’Università di Salerno è attivo nel mondo del giornalismo sin dal 1983 collaborando inizialmente con alcune delle testate del suo territorio per poi allargarsi all'intero territorio italiano. Tanti e diversi gli scritti, in vari settori giornalistici, dalla politica, alla cultura allo spettacolo e al sociale in particolare, con un’attenzione peculiare sulla comunità lucana. Ha viaggiato per tutti i 131 borghi lucani conservando tanti e diversi contatti con varie istituzioni: regionali, provinciali e locali. Ha promozionato i prodotti della gastronomia lucana di cui conosce particolarità e non solo.