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Le opere di Picasso hanno sempre suscitato stupore e interesse per la loro originalità e la particolare forza dirompente. E’ quello che di solito succede a tutti quegli artisti che hanno il coraggio di abbandonare canoni consolidati per cercare e indagare nuove forme espressive. Solo i grandi talenti riescono, e a questa categoria appartiene senza dubbio Pablo Picasso (all’anagrafe primo e ultimo nome di una serie di 14), una delle figure chiave dell’arte contemporanea.
Per una migliore comprensione del genio spagnolo “24 Ore Cultura” ha allestito al MUDEC di Milano una mostra, “La metamorfosi della figura”, promossa dal Comune e dalla Fondazione Deloitte, col patrocinio dell’Ambasciata spagnola e dell’Istituto Cervantes. Si tratta di oltre 40 opere tra dipinti e sculture, insieme a 26 disegni tratti dal ‘Quaderno 7’ (in tutto furono ben 189 quaderni), studi per la realizzazione di uno dei capolavori più famosi, “Les demoiselles d’Avignon”.
Questa predilezione di Picasso di destrutturare e poi ricomporre e rielaborare la realtà con linguaggi, tecniche e interpretazioni personali può prendere le connotazioni delle metamorfosi, senza timore di incorrere in forzature. E in tal senso l’esposizione, curata da Malén Gual e Ricardo Ostalè, è un progetto appositamente pensato che apre le porte sia all’esperto che al curioso. Girando nelle sale del Museo si distinguono ben cinque sezioni che tracciano un iter artistico dal 1906 agli anni ’60. E se le foto, in bianco e nero, degli atelier del pittore suscitano interesse, le sculture esotiche stupiscono. Picasso nel 1907 al Trocadero di Parigi scoprì l’arte africana, qualcosa che sconvolse e cambiò le sue conoscenze e le relative interiorizzazioni, al punto di fargli affermare: “In quel momento compresi il senso profondo della pittura”. Nella sua mente visionaria nacque una nuova idea di bellezza che lo portava a superare la riproduzione illusionistica e lo indirizzava sulle strade delle avanguardie. La rivelazione della spiritualità negli oggetti animistici lo portò a collezionare maschere e statue non solo dell’Africa, ma anche dell’Egitto, dell’antica Grecia, del Giappone (stampe), dell’Oceania, e dei primitivi Iberi. Era arte tribale che all’epoca fu definita “arte nera”. Quegli anni furono importanti anche per la creazione di “Les Demoiselles d’Avignon”, primo quadro ‘cubista’ di Picasso. Purtroppo la tela non è presente ma si può ammirare la “Femme nue” che riprende una delle cinque prostitute del ‘Demoiselles’. Nella terza sezione si tratta proprio di Cubismo, la pittura fatta a cubi, che Picasso fondò insieme a Georges Braque. Pur abbandonando il ‘primitivismo’ gli elementi ispiratori sono sempre gli elementi esotici: lo spazio non si dissocia dalla forma e, mentre le figure vengono scomposte e poi diversamente ricomposte in solidi geometrici, vi si configurano molteplici punti di vista.
Nella visita si procede al periodo che dagli anni ’20 porta alla Seconda Guerra: la magia dell’arte tribale non viene mai abbandonata, ma si nota l’influenza delle scoperte scientifiche di Einstein sulla quarta dimensione e della poesia surrealista. Da notare un breve studio per quell’altro capolavoro che fu “Guernica”.
Nell’ultimo periodo le forme si fanno più morbide, anche se gli elementi sono sempre mescolati e distorti. In chiusura ecco ciò che può considerarsi tanto l’eredità del pittore di Malaga, quanto il doveroso omaggio alla sua arte da parte di artisti africani, quasi una evoluzione sulla base degli insegnamenti del maestro: opere di Romuald Hazoumè, Goncalo Mabunda e Cheri Samba.
La mostra che, cominciata alla fine di febbraio chiuderà il 30 giugno, è arricchita da video installazioni a cura di “Storyville”.
“ Non c’è passato né futuro nell’arte: se un’opera non può vivere sempre nel presente, non ha significato” (Pablo Picasso)