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(Adnkronos) – Negli Stati Uniti è ormai una prassi consolidata. Quando i manager sbagliano i progetti, pagano i lavoratori. Non fa eccezione Apple, che sta licenziando più di 600 lavoratori in California. Che colpa hanno? Nessuna, se non quella di essere forza lavoro al servizio di progetti che vengono archiviati. Lo sviluppo del veicolo elettrico a guida autonoma finisce in un vicolo cieco, così come le speranze riposte in un team dedicato alla produzione interna degli schermi degli smartwatch.  La stessa riga usata per depennare le due voci dalle prospettive di crescita serve a cancellare 614 posti di lavoro che non servono più. Dal 27 maggio, tutti a casa. Si dice sempre che sono gli svantaggi, compensati dalla grande facilità di trovare nuova occupazione, di un mercato del lavoro flessibile. Vero, a patto però che le cose girino bene. Nel caso delle big tech americane, invece, non tira una buona aria.  Restando in casa Apple, lo schema che si ripete sembra tutt'altro che virtuoso. La necessità di trovare sbocchi commerciali alternativi a quelli degli i-phone, prodotto che ha venduto tantissimo ma che ormai soffre un mercato saturo, in cui la concorrenza degli altri brand si è alzata e i progressi della tecnologia hanno abbassato il tasso di ricambio, ha spinto a immaginare strade innovative, che hanno comportato investimenti consistenti. Quando però arriva il momento di cambiare strada, perché i calcoli sono stati evidentemente sbagliati, arrivano le decisione drastiche. Progetto chiuso e lavoratori a casa.  La questione si complica quando sugli errori impatta il fattore tempo. Quello perso con le scelte infelici e quello sottratto allo sviluppo che invece avrebbe potuto portare benefici. Apple è infatti in ritardo nella corsa all'implementazione dell'intelligenza artificiale al servizio di nuovi prodotti o di prodotti già esistenti che possono utilizzarla. Il rischio, concreto è che per far tornare i conti ci si trovi di fronte a un bivio: continuare a tagliare personale o investire con più decisione dove si può intravedere un ritorno in tempi ragionevoli. Le scelte, per ora, sembrano andare nella prima direzione. (Di Fabio Insenga)  —economiawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

Redazione

Lsd sta per Last smart day, ovvero ultimo giorno intelligente, ultima speranza di una fuga da una cultura ormai completamente omologata, massificata, banalizzata. Il riferimento all'acido lisergico del nostro padre spirituale, Albert Hofmann, non è casuale, anzi tutto parte di lì perché LSDmagazine si propone come cura culturale per menti deviate dalla televisione e dalla pubblicità. Nel concreto il quotidiano diretto da Michele Traversa si offre anzitutto come enorme contenitore dell'espressività di chiunque voglia far sentire la propria opinione o menzionare fatti e notizie al di fuori dei canonici mezzi di comunicazione. Lsd pone la sua attenzione su ciò che solletica l'interesse dei suoi scrittori, indipendente dal fatto che quanto scritto sia popolare o meno, perciò riflette un sentire libero e sincero, assolutamente non vincolato e mosso dalla sola curiosità (o passione) dei suoi collaboratori. In conseguenza di ciò, hanno spazio molteplici interviste condotte a personaggi di sicuro spessore ma che non trovano spazio nei salotti televisivi, recensioni di gruppi musicali, dischi e libri non riconosciuti come best sellers, cronache e resoconti di sport minori, fatti ed iniziative locali che solitamente non hanno il risalto che meritano. Ma Lsd è anche fuga dal quotidiano, i vari resoconti dai luoghi più suggestivi del pianeta rendono il nostro magazine punto di riferimento per odeporici lettori.