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Niente sarà più come prima, con ogni probabilità. Il cambiamento climatico ha messo in seria crisi il settore olivicolo internazionale. Manca l’olio, ed è un dato di fatto incontrovertibile. La produzione delle ultime due campagne olearie ha registrato un sensibile calo come non si era mai verificato nella storia contemporanea. Nulla a che vedere con il fenomeno fisiologico dell’alternanza di produzione, che vuole un anno di carica contrapposto a un anno con un minor raccolto. Purtroppo, vi sono areali produttivi in cui non si vedono olive da diversi anni.
“La Puglia, per come è strutturata, per fortuna regge il colpo” – chiarisce Nicola Pantaleo, ad della Nicola Pantaleo Spa, storica impresa olearia con sede a Fasano, in provincia di Brindisi. “Il timore che si possa compromettere la tenuta del comparto è reale. Non si tratta di una speculazione, né tanto meno di un fenomeno transitorio. Il quadro che si è delineato riflette una situazione che ha spiazzato tutti gli operatori. Gli effetti si notano osservando l’andamento dei prezzi sugli scaffali”. Sono due anni ormai che sul mercato c’è carenza di oli extra vergini di oliva, i prezzi sono lievitati, i consumi si riducono. La complessità attuale del mercato per un alimento come l’olio extra vergine di oliva merita una seria riflessione da parte di tutti.
“La strada da percorrere – ha dichiarato Nicola Pantaleo – è quella della consapevolezza. Ogni consumatore va educato a riflettere e a compiere scelte più responsabili ed etiche. Oggi più che mai, si deve cercare di capire perché e come mai si deve spendere una certa cifra per un olio extra vergine di oliva che sia di acclarata qualità”.
Il contesto attuale – secondo quanto emerso da recenti analisi di mercato condotte dall’Istituto Piepoli, Nielsen e Areté – consente di conseguire la tanto auspicata acquisizione di consapevolezza. Tant’è che i consumatori italiani hanno compreso, anche per via del ridotto differenziale di prezzo tra l’olio italiano e quello comunitario, il reale valore, in termini qualitativi e di peculiarità sensoriali delle produzioni nostrane. La ricchezza in biodiversità rende l’olio italiano più caratterizzante e versatile, aperto a molteplici impieghi. Così, se da un lato si sta assistendo a una contrazione del 9,7% in volume, il rovescio della medaglia è l’incremento del 27% in valore, segno che nonostante la grande crisi, gli italiani non stanno rinunciando all’olio extra vergine di oliva di qualità. Pur nella preoccupazione generale dovuta al netto calo della produzione, gli extra vergini 100% italiano, a differenza dei generici extra vergini da “primo prezzo”, sono cresciuti nel 2023 di circa il 3%. Secondo Nicola Pantaleo questo scenario inedito e imprevisto “segna un piccolo passo in avanti verso la valorizzazione degli oli italiani, cui si aggiunge, quale ulteriore nota positiva, un atteggiamento nuovo e differente anche nei confronti degli oli territoriali certificati Dop e Igp, extra vergini per molto tempo penalizzati proprio per via dei loro prezzi più elevati. Oggi, invece, di necessità virtù, il consumatore è stato spinto indirettamente verso scelte più consapevoli, venendo così a scoprire oli che un tempo non acquistava perché allettato dalle continue promozioni e dalle vendite in sottocosto. È tempo di ridare dignità a un alimento ritenuto nutraceutico. Occorre aprirsi a una nuova visione dell’olio extra vergine di oliva”, precisa Nicola Pantaleo. “Deve passare il concetto che un cucchiaino di extra vergine di buona qualità permette di assumere la giusta dose di sostanze antiossidanti, utili per la nostra salute e per il benessere”.
La svolta per il settore olivicolo-oleario è arrivata da uno stato di crisi. Ora si tratta di ripensare il modello commerciale finora adottato, allineato a una logica del prezzo anziché su criteri fondati sulla qualità. “L’impegno nel cambiare prospettiva deve essere di tutti”, sostiene l’ad di Nicola Pantaleo Spa.
L’impegno è per una scelta di qualità, nel rispetto di una sostenibilità economica e sociale che premi e valorizzi tutti i protagonisti della filiera e che sia a beneficio del paesaggio, perché un paesaggio coltivato significa poter contare su un territorio protetto da rischi idrogeologici, e a beneficio anche del consumatore, perché nutrirsi con un alimento di qualità equivale a star bene in salute e risparmiare sui costi della sanità pubblica”