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Cento anni fa nasceva Franco Basaglia, il grande psichiatra, filosofo, umanista e rivoluzionario; un intellettuale che non solo ha aiutato a far pensare diversamente la malattia mentale ma ha fatto una cosa straordinaria: mettere in moto tutto un meccanismo che ha portato alla promulgazione della Legge 180/78. La legge che porta il suo nome e che ha segnato la chiusura dei manicomi in Italia è sicuramente una delle più importanti della storia repubblicana.
Un onore per il Bif&st dunque “ospitare” , nella serata di ieri al Teatro Piccinni, il film documentario E tu slegalo, in anteprima mondiale.
E tu slegalo, già il titolo ha un forte impatto emotivo e narrativo.
Ospiti sul palco, il regista Maurizio Sciarra, i produttori , e presente anche il dottor Roberto Mezzina, che è stato direttore del Centro di Salute Mentale di Gorizia, andato lì a prestare la propria attività proprio perché c’era Basaglia.
Il centenario è sempre un’occasione per parlare di discorsi interrotti e dimenticati, rimettere in campo il tema della salute mentale e della cura della salute mentale è di stretta attualità. Il lockdown è stato scatenante per parlare e riprendere questo argomento.
I registi e produttori del docufilm hanno rimesso in circolo le immagini di come erano trattati i “matti” prima della riforma 178/80. Una ricostruzione indispensabile per ricordare cosa era la costrizione, la segregazione, la perdita dei diritti di chi finiva nei manicomi.
“Franco Basaglia è patrimonio dell’ umanità”- ha detto il dottor Mezzina-“ grazie a lui e al movimento che lo ha accompagnato e sostenuto abbiamo avuto questa straordinaria trasformazione nella cura della salute mentale. Roberto Bobbio ha scritto che quella del medico-psichiatra è stata l’unica vera riforma in Italia, anche se poi ci sono voluti venti anni per attuarla definitivamente. La Legge 178/80 è stata trainante anche per la Riforma Sanitaria in generale, senza di quella l’altra non avrebbe avuto luogo”.
Ha detto Agnese Fontana, produttore del documentario, “la possibilità di avere un racconto di chi è stato vicino a Basaglia, è stato fondamentale e spero che gli spettatori questa sera provino le farfalle nello stomaco, come abbiamo provato noi nella realizzazione di questo format”.
Purtroppo c’è ancora il rischio oggi di isolare le persone non proprio allineate alla normalità e che in un certo modo ci disturbano. La diversità fa paura e questa cosa emerge all’interno del film.
Quando ha preso l’avvio la proiezione di E tu slegalo il pubblico si è trovato di fronte a immagini e testimonianze forti (giusto per usare un termine delicato).
Inquadrature su piccole camicie di forza usate per bambini con comportamenti “vivaci”, tipo saltare sul letto o sul divano o salire sui tavoli ( mi vien da commentare che oggi tutti i bimbi sarebbero nei manicomi!).
Secondo la testimonianza di persone che lì hanno” sostato”, le infermiere dovevano bastonare i pazienti che erano rinchiusi in letti come gabbie con i materassi con un grosso foro al centro per fare pipì.
A guardare certe scene non si può che inorridire e pensare allo strazio provato da chi da lì ci è passato.
Un documentario pieno di racconti e testimonianze: “ mi sono opposta al fatto che avevano legato e isolato una paziente per punirla e ho chiesto di farmi stare accanto a lei: parlandole pian piano si è calmata”- racconta una donna
“L’elettroshock lo facevano ogni settimana”, dice un altro paziente “legavano i polsi le caviglie e il medico sparava la corrente in 2 o 3 riprese. Il tutto senza anestesia. Indicibile il dolore che si provava”. E viene inquadrata la macchina elettroshock più vecchia dell’ospedale.
Un’altra terapia scioccante era la lobotomia, c’è chi ricorda che era stato sottoposto un uomo alto 1 metro e 90, rimasto senza sensi per sempre.
Quando Basaglia nel 1961 accetta di dirigere l’ospedale psichiatrico di Gorizia si trova di fronte un film dell’orrore: in quel labirinto di torture e supplizi i malati sono trattati come subumani, degli zombie senza volontà, delle cavie, quanto di più simile ai campi di concentramento nazisti, nello spirito e nei metodi. In Italia i manicomi erano stati istituiti con la legge 36 del 1904 varata dal governo Giolitti, un testo raggelante che pone sotto custodia «le persone affette per qualunque causa da alienazione mentale, quando siano pericolose a sé o agli altri e riescano di pubblico scandalo». Chi veniva rinchiuso spesso non soffriva di alcuna malattia mentale, di nessun disturbo nervoso, così gli ospedali psichiatrici erano pieni di omosessuali, di prostitute, di donne adultere, “ninfomani”, “indemoniate” o semplicemente “umorali” e “malinconiche”.
A differenza di quasi tutti i suoi colleghi, Basaglia possedeva una brillante formazione umanistica, l’essere umano era il fulcro dei suoi interessi intellettuali . Nella clinica delle malattie nervose dell’università di Padova, un ambiente intriso di positivismo scientista e lombrosiano lo chiamavano «il filosofo», ma a mo’ di scherno, per irriderlo, non certo per fargli un complimento.
A Gorizia, lo psichiatra si trova di fronte a un struttura lugubre che gli ricorda le carceri del ventennio, il suo primo gesto da direttore è, tra lo stupore del personale, l’abolizione della contenzione, vale a dire l’applicazione al paziente di qualsiasi mezzo a lui e al suo spazio per impedirne il movimento.
Con l’entrata di Basaglia in quel centro nessuno deve più essere legato, le porte delle stanze vengano lasciate aperte, via le reti, le recinzioni e ogni forma di ostacolo materiale. Che emozione quando nel documentario sono trasmesse scene di repertorio in cui gli stessi pazienti abbattono le reti che circondavano i recinti dei manicomi.
E poi un comodino per tutti, da mettere al fianco dei letti con una piccola luce per poter leggere libri o giornali, un armadietto dove riporre gli oggetti personali, uno specchio dove ritrovare la percezione visiva di sé, e pazienza se qualcuno si farà male, sono in un ospedale e saranno in grado di curarlo. Progressivamente gli spazi vitali aumentano, ci sono i laboratori di pittura, i corsi teatrali, i lavori socialmente utili, gli incontri con gli assistenti sociali, da punitiva la terapia si trasforma in riabilitativa. Ma ad un certo punto i spegne quella forza innovativa del progetto di Basaglia, i cittadini si lamentano dei comportamenti dei matti liberati.
Basaglia, viene contattato dal Presidente della Provincia di Trieste che nel documentario ricorda personalmente quell’episodio.
Quando il medico vi giunge chiede qual è il caso più grave. Gli rispondono: “ un uomo che stacca le reti del letto e le ingoia”.
Con le cure giuste quell’uomo diventò il titolare del bar dell’ospedale.
Gli infermieri inizialmente sono interdetti da quelle novità, ma in poco tempo dimenticano le vecchie abitudini, approfittano anche loro di quel clima effervescente di libertà, collaborando attivamente con Basaglia nel rendere l’ospedale un luogo umano, suggerendo soluzioni ai problemi, diventando protagonisti, gli stessi malati ora sembrano meno malati e lontani, con qualcuno di loro si può persino chiacchierare, può nascere addirittura un rapporto, uno scambio, un affetto.
Tutto questo e altro viene descritto nel documentario per tentare di ricollocare la follia nel cerchio della normalità. Con in mente un orizzonte ambizioso, Basaglia riesce a far chiudere i manicomi in tutto il territorio italiano: ed è stato il primo psichiatra ad abbattere concretamente i muri dell’esclusione. La legge 180 del 1978 impone la chiusura definitiva dei manicomi, che verranno sostituiti dagli istituti pubblici di igiene mentale. Si compie così la rottura con la vecchia psichiatria cautelare ridefinendo alla radice i concetti di patologia mentale e intervento psichiatrico; nessuna terapia deve più violare i diritti della persona ma mettere al centro la cura, il recupero e il reinserimento sociale dei pazienti, Si tratta di una delle norme più importanti dell’intera storia repubblicana, unica nel suo genere, che fa dell’Italia il primo e tutt’oggi il solo paese al mondo ad aver abolito per sempre la barbarie degli ospedali psichiatrici.
A quello su Basaglia, sempre al Piccinni, ha fatto seguito Approdi, un altro documentario di 45 minuti di navigazione alla scoperta dei porti pugliesi.
Una narrazione molto intima sulla libertà del mare.
Due rappresentazioni della libertà dunque: in Il primo ha rievocato l’opera di Basaglia che diede la libertà a delle persone che la meritavano.
In Approdi invece la liberta è identificata nell’estensione del mare inteso come un mondo senza confini.
Foto di Michele Traversa (riproduzione riservata)
Basaglia, il medico che riformò la cura della malattia mentale. Bello il documentario recensito magnificamente dalla dottoressa Squeo.
Con “… e tu slegalo” il Bif&st , ci ricorda LSD Magazine che ha seguito il festival, la rassegna barese ha tributato il ricordo del dott. Franco Basaglia, come colui che ha rivoluzionato l’approccio con la malattia mentale, in Italia e nel mondo, facendo chiudere i manicomi veri luoghi di segregazione nei quali spesso venivano segregati a vita anche degli eccentrici o degli anziani indesiderati dalle loro famiglie che con questo stolking collettivo, rivolvevano tematiche ereditarie.
Che dire!?! La riforma Basaglia una delle riforme più importanti della storia italiana.Il documentario la descrive sicuramente bene e la recensione di Marcella Squeo anche.
Io c’ero, ma per fortuna non in manicomio.
“E tu slegalo!” – questo interessante film documentario così magistralmente descritto e integrato dagli approfondimenti della puntuale e completa dott.ssa Squeo – riporta alla mente con quanta rozzezza venivano affrontate queste problematiche prima di quella storica legge. Che poi problematiche non erano visto che si trattava in molti casi di persone che oggi non definiremmo assolutamente così. Il problema veniva rimosso richiudendo gli “anormali” in queste strutture dove tutto era risolto con le maniere forti e la coercizione all’insegna del “occhio non vede cuore non duole”. A Bari in più c’erano almeno altre tre strutture private per benestanti (di cui la più famosa era “Villa Igea”) in cui le condizioni dei degenti saranno state certamente migliori di quelle dei manicomi veri e propri. Mi ha colpito nella bella recensione il riferimento ai comportamenti dei bambini e alle piccole camicie di forza con cui venivano immobilizzati, e sorvolo sulle immancabili punizioni corporali che subivano. Per i più giovani ricordo che a cavallo degli anni sessanta ai bambini era vietato l’uso dei pantaloni lunghi anche quando si gelava ed era normale che a scuola elementare il maestro usasse bacchettate e perfino ceffoni e calci per il rispetto della disciplina e per il profitto scolastico. Ma il commento sta diventando troppo lungo e me ne scuso.
Onore e riconoscenza a Franco Basaglia per la sua rivoluzione e grazie come sempre a LSD magazine per l’attualità dei contenuti.
L’altro aspetto del Bifest, quello dell’informazione. Perfetta la recensione di Marcella Squeo.