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Non si può. Non si può assolutamente non ricordarlo. In questo 2024 avrebbe compiuto novantuno anni. Era il giorno del Corpus Domini, mezzogiorno di giovedì 15 giugno del 1933 quando a Pola (citta della Croazia) nasceva un cantautore che nel corso degli anni diventerà un grande uomo ma soprattutto un grande poeta della canzone italiana. Di Sergio Endrigo si è detto tutto, ma resta il fatto che tutto non si dirà mai. Ha vinto il Festival di Sanremo 1968 con Canzone per te, è arrivato secondo nel 1969 con Lontano dagli occhi e terzo nel 1970 con L’arca di Noè; nel corso della sua carriera ha collaborato con scrittori e poeti come Gianni Rodari, Pier Paolo Pasolini, Vinícius de Moraes e Giuseppe Ungaretti e con musicisti come Toquinho e Luis Bacalov. Un volto antico che si dichiarava cantautore per caso, ma alla fine ha dimostrato di essere nella sua perenne essenzialità, una voce leggera mai prepotente che sapeva toccare il cuore, palparlo con la dovuta misura facendolo battere nel tempo giusto con un suono di un pendolo ben accordato. Un poeta sospeso tra romanticismo e neorealismo come ha scritto Francesco De Gregori nella prefazione al libro della figlia Claudia “Sergio Endrigo mio padre”: Storie che sapevano di verità dichiarate o sognate e che ben riflettevano quel modo che aveva Sergio di pronunciare le parole. Un poeta, uno scrittore di altri tempi, un gentiluomo perbene, ma in fin dei conti una voce particolare, melodiosa, oserei dire soave che riusciva ad attraversare l’udito di tutti per arrivare al cuore e all’animo obbligando tutti a ripetere con emozione le sue parole e i suoi suoni. Per comprare la prima chitarra utilizzo una piccola collezione di francobolli regalategli da un zio: La diedi al maresciallo dei carabinieri per il quale lavorava mia madre ed in cambio mi diede dei soldi necessari per comprarmi una chitarra. Il successo ricevuto per molti suoi estimatori è apparso come la giusta ricompensa per aver vissuto in una famiglia poverissima dove è riuscito a intendere come i soldi non sono tutti nella vita. Di Sergio Endrigo c’è sempre molto da dire, in questo tempo scapigliato, liquido e senza senso alcuno, c’è tanto da imparare, c’è tanto da ascoltare ancora. La vita è l’arte dell’incontro, c’è da ascoltare “la voce dell’uomo” che grida la propria solitudine di un tempo amaro frutto di una realtà piena di illusioni. C’è l’incontro con i bambini con quella sua canzone ancora attuale “Ci vuole un fiore” convinto che i bambini meritassero molto di più. Sergio Endrigo è la “vittoria del buon gusto” come ebbe a dire Fabrizio De Andre. Della poesia sulla banalità, la prevalenza di idee buone sulla stupidaggine attuale. Un volare alto di una persona mai sceso a compromessi con la propria coscienza di artista rifiutando premi solamente per specchiarsi. Di questi novantuno anni,“Io che amo solo te” voglio dirti “che ho avuto solo te e non ti perderò, non ti lascerò per cercare nuove avventure”.
Oreste Roberto Lanza