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Trecento novantaquattro pagine, sessantacinque di bibliografie con note e documentazione varie, cartine dell’epoca, e indici dei nomi. Un libro completo quello dal titolo “La guerra per il Mezzogiorno”, di Carmine Pinto, professore ordinario di storia contemporanea presso l’università di Salerno. Un libro che porta con se diversi riconoscimenti: vincitore del premio Basilicata 2019 Saggistica storica nazionale, premio Fiuggi storia saggistica 2019, premio città di Montesano 2019, premio Sele d’Oro 2019 saggistica, premio Rende book festival 2019, premio letterario città di Siderno 2019 saggistica premio Fiuggi storia 2019 saggistica. La prima guerra italiana si combatté nel mezzogiorno. Tra il 1860 e il 1870, il movimento unitario e le istituzioni del nuovo stato si scontrarono con borbonici e briganti napoletani. Un libro che racconta, con cura, il conflitto civile tra opposti progetti di Stato e di patria. I borbonici continuarono a resistere anche negli anni successivi. Fu così che, nell’esplosione generale del regno, furono organizzati gruppi e bande che richiamarono il vecchio brigantaggio. Pagine che analizzano un conflitto tra il nuovo stato italiano e le sue componenti politiche, particolarmente radicate nel Mezzogiorno, contro i borbonici e, come le definisce l’autore, le bande dei briganti delle province napoletane. Entrambi i contendenti erano sostenuti da una vasta schiera di alleati nella penisola ed in Europa: nazioni, intellettuali, gruppi politici, istituzioni religiose. In ogni caso, pur all’interno di uno scenario dove gli attori erano molteplici, una vera e propria folla, i protagonisti centrali erano due: il movimento risorgimentale italiano e la componente borbonico-legittimista delle province napoletane. Una guerra per il mezzogiorno, come scrive l’autore, che iniziò nel settembre del 1860, dopo il successo della rivoluzione unitaria e garibaldina,
e si protrasse per un decennio, mobilitando re e generali, politici e vescovi, soldati e briganti, intellettuali e artisti. Non fu uno scontro locale, perché coinvolse attori politici e militari di tutta la penisola e d’Europa, ma non fu neppure una guerra tradizionale: i briganti, le truppe regolari italiane, i volontari meridionali si sfidarono nelle valli e nelle montagne in una guerriglia sanguinosa, del tutto priva dei fasti risorgimentali. Tra gli attori principali, il brigantaggio fece la sua parte, una parte importante. Ancora oggi si risponde alla domanda: il brigantaggio fu l’eroica resistenza meridionale al colonialismo sabaudo o la sfida allo Stato di bande criminali? L’autore pare propendere per la seconda tesi, quella di bande di criminali che sfidarono lo stato unitario. Bande, come sottolinea l’autore, a pagina cento sessanta: “che cercarono di darsi un’organizzazione flessibile a volte autoassegnandosi gradi e una qualche struttura gerarchica ma raramente superarono i problemi di assenza di disciplina e addestramento”. Un brigantaggio che consenti ai legittimisti- precisa Carmine Pinto – di continuare la campagna di propaganda attribuendo alle azioni delle bande un contenuto patriottico e giustificando la stessa esistenza del governo in esilio. C’è chi invece ancora oggi sostiene che fu una sfida al colonialismo sabaudo. La domanda che si ripete è: il grande dramma del brigantaggio avrebbe potuto essere, se non evitato, certamente di molto ridotto nel tempo e nell’intensità da una differente politica dei governi unitari succedutesi nel decennio 1860-1870, guidati da Cavour, Ricasoli, Rattazzi, Farini, Minghetti, La Marmora, Menabrea, Lanza? Certo evitare completamente il brigantaggio era impossibile, dal momento che non si può escludere anche la circostanza che fosse stato partorito spontaneamente dalla generale crisi meridionale ad opera di fattori economico-sociali, strutturali e contingenti. “I salariati-briganti aspiravano al pane, alla libertà, anche alle vendette come forma di rozza giustizia, dibattendosi nelle strette del carovita, della disoccupazione, dei redditi insufficienti. La risposta governativa fu una repressione armata in funzione anti-contadina ed anti-popolare”. Così scrive Franco Molfese, vice direttore della biblioteca della Camera dei Deputati nel suo fondamentale libro sul brigantaggio. Alla fine del proprio discorrere, l’autore, rispetto alla domanda, propende per una linea di mezzo sostenendo che il brigantaggio fu una delle espressioni politiche, sociali e criminali della crisi dell’unificazione nel Mezzogiorno, condizionato da eredità e tradizioni di lungo periodo. Il libro di Carmine Pinto ha il valore di tenere aperto un sereno dialogo su angolazioni e diverse vedute del grande scontro tutto meridionale attraverso una vastità di ricerche compiute, sulla guerra di brigantaggio. Il sogno della restaurazione, fu per i briganti, uno dei motori per continuare la guerra, insieme alla fedeltà monarchica e alla loro religiosità. Un universo, quello dei briganti. che ruotava intorno a pochi concetti chiave, semplici e comprensibili: il Re e la Chiesa, in forme più confuse la patria e il popolo, contro le idee straniere o di rivoluzionari e notabili traditori e oppressori. Un libro vuole sollecitare ed approfondire sempre più un tema e una realtà storica ancora con tante verità nascoste.
Oreste Roberto Lanza