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La storia raccontata da Simone Di Cola nel suo libro “Gli spietati” ha come scenario un condominio in un luogo di provincia non specificato. “Il condominio Belvedere era un palazzo di quattro piani, composto da otto appartamenti tutti uguali, di circa ottanta metri quadrati ciascuno. Era un vecchio palazzo di cemento grigio, costruito negli anni ottanta. Era tutto rivolto all’interno, senza balconi. L’intonaco esterno si era rovinato col tempo e l’ultimo terremoto aveva anche aperto una piccola crepa tra il secondo e terzo piano ma per fortuna quest’ultima era nel retro del palazzo e i passanti non la notavano. I primi inquilini furono i coniugi Bini. Successivamente arrivarono i Guerra, i Bassi, i Paci, il magazziniere e per ultimi i coniugi Zaid” scrive l’autore. I rapporti tra i diversi personaggi nati dalla penna di Simone Di Cola sono dominati dall’invidia e dalla superficialità e finiscono per generare gradualmente cattiveria e rancore. “Non credo esista il male in termini assoluti, come un’entità a sé, staccata dall’uomo. No, non esistono persone cattive innatamente. Esistono però azioni che possono avere conseguenze dannose per gli altri, dunque azioni cattive. Queste azioni cattive sono compiute da uomini ignari, uomini che hanno scelto di non pensare, di fare così come tutti e di essere superficiali cosicché finiscono per diventare malvagi, finiscono per essere spietati” spiega l’autore nell’introduzione del suo libro. Tutto nasce dall’incapacità di comunicare e dall’indifferenza verso il prossimo, che per Simone Di Cola sono caratteristiche distintive della nostra epoca. L’autore ha scritto la sua opera interamente a mano, usando carta e penna, e solo successivamente ha digitato il testo al computer. In questo modo ha voluto riappropriarsi di una dimensione di scrittura autentica in quanto gesto connaturato all’essere umano. Nulla infatti come la scrittura a mano riesce a organizzare informazioni, appunti, idee e pensieri, non solo sulla pagina ma perfino nella mente. La scrittura possiede un proprio suono generato dallo scorrere della penna sulla pagina mentre il movimento della mano restituisce un’esperienza percettiva e motoria a tutto campo. La scrittura corsiva, poi, richiede una sollecitazione maggiore, perché segue una forma più curata delle parole affinché possano legarsi tra loro. Nel momento in cui i sistemi di comunicazione moderni hanno sminuito il gesto dello scrivere a mano, la scelta di Simone Di Cola rappresenta dunque una forma di rivoluzione.
Maria Rosaria Grifone