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«Come la Saudade – quell’atteggiamento di nostalgico rimpianto, il desiderio di “cose amate” come la descriveva il poeta portoghese Teixeira de Pascoaes, quel rimembrare ciò che si è perduto per sempre – anche la mia malinconica Sabaudade, in cui mi avvolgo come in una coperta di Linus da quando ho abbandonato l’amata Torino, è per me quella nostalgia di un luogo prediletto, dei suoi colori, suoni, abitudini, di quelle certezze del quotidiano che ti accompagnano da quando eri bambina, di quei luoghi dell’anima che rimpiangi con uno struggimento disarmante»: Laura Malaterra parla di sé, delle sue passioni e delle sue piccole manie nella raccolta di storie autobiografiche “Maniaca seriale. La soddisfazione di complicarsi la vita”. Nel racconto da cui è tratta la citazione, intitolato “La mia Sabaudade”, l’autrice ci parla di quel senso di nostalgia che prova per la sua patria perduta, lasciandosi andare a uno struggimento poetico quasi esagerato a cui, però, trova subito un rimedio, come ella stessa afferma: «Quando raggiungo le vette astronomiche di Sabaudade mi viene in aiuto l’autoironia». E l’autoironia è proprio la chiave con cui è stata scritta quest’opera, e con cui la si può decifrare per trarne il meglio: Laura Malaterra ha ben compreso che dei propri difetti e delle proprie ossessioni non ci si deve vergognare o addirittura lasciare che condizionino la nostra vita e le nostre relazioni. Per questo motivo ha scritto questi racconti in cui si descrive nella sua intimità, lasciando al lettore la possibilità di ridere con lei delle sue stranezze, che poi sono sicuramente simili a quelle che possiamo avere tutti noi. Un’opera per non sentirsi soli nei propri umanissimi limiti, e per trascorrere delle ore piacevoli all’insegna dell’ironia e della leggerezza; un libro per ricordarci che andiamo bene così anche se ci angosciamo oltre misura perché siamo convinti che alcuni insetti, di notte, mangino lentamente ma inesorabilmente porzioni, seppur infinitesimali, del nostro corpo, o se le nostre compulsioni ci portano a non stare bene se non è tutto in ordine in casa, o se abbiamo un incomprensibile odio per i gancetti a triangolo con cui si appendono i quadri – «Belli o brutti, di pittori famosi o imbrattatele, incorniciati con antiche e barocche cornici dorate di legno pregiato o moderne filiformi e colorate cornici di finto legno o vera plastica o alluminio opaco o rispecchiante ottone, su tutte campeggia quel mostruoso triangolino nero tronfio della sua bruttezza e felice del posto d’onore assegnatogli nel corso dei secoli».