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Tra la stella di Gato Barbieri e quella di Benny Goodman è stata collocata quest’anno la stella di Bill Evans, la 17^ per l’esattezza,  per la 13^ edizione de “La strada del Jazz”. Aldilà di ogni valutazione scaramantica, la manifestazione si pone tra le più qualificate a livello nazionale, anche se a volte si tira dietro qualche trascurabile critica negativa. Tutto si svolge da sempre nel “Quadrilatero” di Bologna, quell’area commerciale del lontano Medioevo delimitata dalle centrali via Rizzoli, via Farini, via Castiglione, via dell’Archinginnasio. Ogni anno vengono posizionate una o due stelle dedicate a jazzisti che hanno fatto la storia (la Fitzgerald, Armstrong, Mingus, Miles Davis) senza trascurare musicisti locali come Hengel Lualdi, Marco Tamburini e Lucio Dalla. “La strada del jazz”, evento organizzato da Paolo Alberti e Gilberto Mora, sta a commemorare gli anni d’oro del jazz a Bologna, grazie  ai quali la città fu definita “capitale europea del jazz”. Le stelle, tutte di marmo, sono collocate a pavimento nella piccola e centralissima via degli Orefici.

Perché Bill Evans? Perché il pianista americano è una pietra miliare del jazz nonché padre del jazz modale: un innovatore umile e introverso, genio e poeta dal carattere fragile, perso purtroppo dietro le droghe e colpito da numerose tragedie famigliari che ne minarono la personalità. Il suo pianismo colto e raffinato ha rivoluzionato la concezione del piano, e ha influenzato la successiva generazione di pianisti. Cominciò con la musica classica (Stravinsky e Debussy) per approdare al jazz con Tommy Dorsey. ispirandosi a Bud Powell. L’apice della carriera si configura nel celebre album “Kind of Blue” alla corte di Miles Davis (1959) e in “Interplay” (1963) con Jim Hall e Freddie Hubbard. Ha collezionato ben 7 Grammy Awards ed è incluso nella Jazz Hall of Fame. Evans suonò per la prima volta a Bologna nel 1967, al Teatro “Duse”. Le sue note continuano ancora ad emozionare.

La “festa” si è inaugurata sabato con la ‘Street Ariminum Dixieland Jazz Band’ su un piccolo palco: un tripudio di colori e suoni accattivanti che ha attirato l’attenzione dei passanti, complice l’esibizione strepitosa dei ballerini della scuola “Bologna Swing Dancers”. Il sindaco Matteo Lepore ha scoperto la stella dedicata a Evans e ha premiato, come “amici” della strada, Barbara Cola, bolognese doc, e Gianluigi Guidi. Poi tutti in Piazza Maggiore ad ascoltare il trio di Francesco Cavestri, giovane  pianista bolognese appena ventenne: si è mostrato tecnicamente molto abile, ma soprattutto intelligente e creativo, capace di filtrare i classici attraverso l’elettronica e di miscelare John Coltrane con i Radiohead. È stato felice anche l’inserimento di Giovanni Tamburini alla tromba.

A seguire dalle 19 si è esibito il quartetto di Andrea Ferrario, vecchia conoscenza del pubblico bolognese, noto per essere il sassofonista della band di Vasco Rossi. Si è alzata l’asticella della qualità musicale, anche per il contributo al piano di Alessandro Altarocca: qua e là, in ordine sparso, comparivano i tributi a Bill Evans, ma brividi lungo la schiena sono cominciati a scorrere con “Nature Boy” (splendido interplay sax e pianoforte), e con il tributo a Lucio Dalla (che con il jazz ha bazzicato parecchio da cultore e appassionato): la magia di “Caruso” ha fatto calare un assorto silenzio sulla Piazza “Grande”. In chiusura è salita sul palco Barbara Cola, che da una decina d’anni è entrata nei circuiti jazz della città. Solo il tempo per quattro pezzi: “In a Sentimental Mood”  è stata una piacevole sorpresa, per esecuzione e arrangiamento. Ai saluti non poteva mancare “Brava” del maestro Canfora, cavallo di battaglia di Mina.

Il clou della giornata è stato affidato al trio di Amedeo Mariano (nel quale spicca la figura di Luca Bulgarelli al contrabbasso) e alla voce di Gianluigi Guidi, per un tributo a Frank Sinatra. Guidi (figlio di Johnny Dorelli) provò a seguire le orme del padre partecipando con scarso successo al Festival di Sanremo nel 1989 e nel 1990. Dal ’92 si è dedicato al teatro, ma non ha perso il “vizio”, per così dire. Ed eccolo a Bologna, con una voce felicemente impostata da perfetto crooner, eseguire le canzoni più note del grande Frank: da “The Lady Is a Tramp” a “Fly Me to the Moon”; da “I’ve Got You Under My Skin” a “Moon River” e “All the Way”, per finire con “My Way”. Guidi si è rivelato anche un fine ed amabile intrattenitore. Ha cantato “Strangers in the Night” nella versione italiana, “Solo più che mai”, di Dorelli e ha poi accennato “L’immensità”, sempre del padre: comunque è sembrato forse fuori luogo fare il replicante, anche se ci può stare come doveroso riconoscimento.

Il giorno dopo ancora Ferrario con Claudio Vignali al pianoforte per un omaggio più deciso a Evans: “So What”, “Interplay”, “Peace piece” e “Skating in Central Park” fanno parte a pieno titolo della letteratura musicale del jazz, come la scatenata “Nostalgia in Time Square” di Charlie Mingus.

Ed è finita in bellezza ed allegria: in serata il sassofonista Guglielmo Pagnozzi con i Jazz Dogs ha condotto il pubblico per mano nell’era dello Swing, supportato dagli esuberanti  “Bologna Swing Dancers”. Ed è stata grande festa, quella che solo il ballo (o la danza, se volete) è capace di creare in totale libertà: tutti a ballare in Piazza.

Il jazz è anche questo.

Doctor Sax