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E se Luca Medici avesse rieducato gli italiani? Se Checco Zalone avesse fatto quel che non era riuscito al Fantozzi di Villaggio o al Lorenzo di Guzzanti: farli guardare allo specchio e, invece di dire «non mi somiglia per niente», pensare «ma forse posso provare a fare un po’ meno schifo»? Quale veggente avrebbe potuto predire a Medici Luca da Capurso, che avrebbe riempito gli stadi d’Italia e trascinato folle osannanti di fan? Bari da mesi in fibrillazione per il suo one-man-show: ieri sera traffico e code attorno all’Arena della Vittoria di Bari, sold out per le tre sere del suo spettacolo «Amore + Iva», giunto alla 105ma data.
Ci penso quando, nella mia Bari, “Amore+Iva” viene preceduto da una gentile signorina che dagli altoparlanti dice che è vietato filmare e fotografare. Penso: figurati, senza il servizio di sequestro dei cellulari di cui si servono Chris Rock o Dave Chappelle. Penso: figurati, con la disciplina degli italiani.
Cambia e ritocca alcune delle battute di questo spettacolo Amore + Iva, scritto con Sergio Maria Rubino e Antonio Iammarino: capisce che in parte possono essere già note perché chi ha visto lo spettacolo a Milano, Firenze, Roma, Verona, Catania eccetera, le ha ripetute e le porta in giro.
Poi lo spettacolo comincia, con un filmato di Zalone truccato da Putin, che dice che se qualcuno fa foto sgancerà l’atomica sull’Italia, e va avanti per due ore di personaggi e canzoni e piccoli capolavori e lungaggini e pubblico che non sa le parole di “Poco Ricco” (voi Ragady non ve lo meritate), e nessuno mai fa una foto col telefono. Se leggete quest’articolo dal futuro – un futuro in cui l’umanità si sia redenta – sappiate che, nel 2023, dire che eravamo stati due ore senza fare foto è come dire che eravamo stati due ore senza respirare.
Lo spettacolo ha come tema l’amore, ma nulla di scontato: è l’amore di un popolo italiano tassato e scontento, tanto che il refrain dello show alla fine risulta la battuta «L’amore è come l’Iva, è una partita di giro»; per poi virare sui diritti civili: «LGBT+ vuol dire che puoi avere tutte le sessualità che vuoi con un solo account».
Tutta la platea ubbidisce a un precetto senza bisogno di costrizioni o minacce (a meno che non abbiano creduto a quella dell’atomica), e io penso che forse volevamo quello: una disciplina che ci facesse ridere. O forse il vero miracolo italiano è un tizio della remota provincia pugliese che, invece di andare dai suoi difettosi connazionali e dir loro ma-non-si-vergogna, ha preso delle schegge di specchio e le ha disposte in una foggia che non permettesse più loro di pensare quel che avevano pensato con Fantozzi: non parla di me, parla del mio vicino di posto.
Sul palco con Checco c’è Angela, viene dal suo primo film, ed è un brano melodico. Il fatto che sia melodica basta, alla platea, a trattarla come una canzone d’amore. Non c’era nessuna differenza tra il modo in cui il pubblico pugliese si dondolava su “Angela” e quello in cui si sarebbe, tre ore dopo, commosso su “A te”. D’altra parte, se abbiamo preso per canzone d’amore una che diceva «Ti proteggerò dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai», possiamo equivocarne anche una che dica «faccio la pipì, faccio la pupù, ma con la mia mente sto costantemente ad Angela».
Luca Medici lo sa, sa quant’è lordo e netto il nostro non capire niente di niente, sa che la nostra ottusità è un grande indifferenziato in cui “La vacinada” può venire presa per sessista e “Angela” per romantica; e quindi, quando canta “Gli uomini sessuali” e arriva al punto «quanta gente che vi attacca solo perché non vi piace la patacca», aggiunge: Baglioni, sei finito.