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S’inaugura martedì 18 luglio 2023, alle ore 21.00, il 49° Festival della Valle d’Itria, con una nuova e fresca produzione de Il Turco in Italia di Gioachino Rossini, opera buffa in due atti su libretto di Felice Romani, nell’allestimento realizzato dalla Fondazione Paolo Grassi. L’opera va in scena nello storico Cortile di Palazzo Ducale di Martina Franca, con la direzione musicale di Michele Spotti, alla testa dell’Orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari e del suo Coro, preparato, da Fabrizio Cassi, per la regia di Silvia Paoli, con le scene di Andrea Belli e i costumi di Valeria Donata Bettella. Sono previste repliche nei giorni 1, 4 e 6 agosto alle ore 21:00.
Il cast vocale prevede il ritorno al Festival del soprano Giuliana Gianfaldoni, nella parte di Fiorilla, nella parte di Selim il giovane basso Adolfo Corrado, nella parte di Prosdocimo il baritono Gurgen Baveyan; mentre il baritono Giulio Mastrototaro apporta la sua esperienza scaligera alla parte di Don Geronio.
L’opera è presentata nell’edizione critica Ricordi curata da Margaret Bent, nel 1988, per la Fondazione Rossini di Pesaro che, estirpando le musiche d’altri compositori frettolosamente inserite nella prima versione del 1814 per il Teatro alla Scala di Milano, e integrando alcuni numeri poco conosciuti che Rossini aveva concepito per le versioni del 1815 di Firenze e, specialmente, del 1819 di Roma (nelle versione “opportunamente” ribattezzata dalla censura pontificia La capricciosa corretta), restituisce l’opera al suo splendore originale. La versione eseguita presenterà alcune particolarità, secondo gli scritti, tutte accettate da Rossini. La prima cavatina di Geronio è omessa. La cavatina di Fiorilla “Non si dà follia maggiore” è sostituita da “Presto amiche, a spasso, a spasso”. Narciso ha anche lui una cavatina di introduzione “Un vago sembiante”. Vengono omessi coro e cavatina di Fiorilla e il duetto Fiorilla-Selim all’inizio del secondo atto. Viene invece reintrodotta la seconda aria di Geronio: “Se ho da dirla avrei molto piacere”. L’aria di Albazar è omessa e la cabaletta finale di Fiorilla presenta una forma più lunga e complessa, prendendo in prestito la forma del genere dell’opera seria.
«L’esecuzione di questa versione, commenta il direttore Michele Spotti, può essere la chiave vincente per ottenere un’organicità formale ancor più convincente di questo straordinario capolavoro». La messa in scena di Silvia Paoli, regia e Andrea Belli, scene, con i costumi di Valeria Donata Bettella avrà un sapore estivo, scanzonato e “popolare”. Spiega infatti Silvia Paoli: «Il teatro è, o dovrebbe essere, prima di tutto un evento popolare, e in questo momento storico ricordare che l’opera appartiene a tutte e tutti, che è un linguaggio universale che parla di idee e sentimenti è un gesto profondamente politico e necessario». Ad andare in scena, sarà l’Italia del sud degli anni 60, quella del boom economico, delle grandi contraddizioni fra tradizione e innovazione, il Paese dove arrivano gli stranieri in bikini e le mamme italiane fanno il bagno vestite. L’ambientazione sarà foriera di grandi allusioni alla realtà del contesto di ricezione attuale: siamo infatti in uno stabilimento balneare con cabine, ombrelloni e un bagnino, non più a Napoli bensì in Puglia, di giorno ai bagni Geronio e la sera a frescheggiare ai tavolini di un bar. La storia: in cerca d’ispirazione per un nuovo dramma buffo, il poeta Prosdocimo si imbatte, fuori Napoli, in un gruppo di zingari, tra i quali spicca Zaida, fuggita dal suo paese per sottrarsi a un’ingiusta condanna a morte. Frattanto, nel golfo, sta per approdare una nave turca: a bordo vi è il principe Selim, amante riamato da Zaida, e subito attratto dalle moine dell’effervescente Fiorilla, donna vezzosa e moglie infedele. Un caffè galante tra lei e il turco, interrotti da marito e amante, si trasforma presto in una gustosa scena di teatro e metateatro, di cui il poeta non può che godere appieno. E se Fiorilla proverà a tenersi buono il marito, il ritrovamento di Zaida destabilizzerà Selim, sospeso tra un amore passato e le smanie del presente. Sarà una festa in maschera, con tanto di travestimenti e inversioni di ruolo, ad intrecciare ulteriormente l’ordito calcolato dall’autore-regista e portare allo scioglimento finale, tra malintesi, scaramucce e ricongiungimenti. Opera comica in cui la poetica drammatica rossiniana «si svela con maggior evidenza, in primo luogo grazie all’insolito rilievo che ha in essa la dimensione metateatrale», in molti suoi episodi musicali di chiara ispirazione mozartiana, come spiega Emanuele Senici; «opera di ensembles» secondo il giudizio di Philip Gossett, che segna «il passaggio – al tempo di Bellini e Rossini – dal dramma fondato sulle “arie” (che esprimono la psicologia dei singoli personaggi) alle opere in cui i personaggi si caratterizzano nel loro agire in gruppo, negli insiemi», come sottolinea Dinko Fabris; opera milanese, nella sua genesi, per il suo infelice debutto – forse acuito dal riferimento al “malcostume”, milanese, imperante – e per le circostanze della sua rinascita, eternamente ricordata quale espressione «del miracoloso brio rossiniano», secondo Eugenio Montale, testimone della sua prima rappresentazione moderna alla Scala nel 1950, che diede il la alla “Rossini renaissance”: Il Turco in Italia irride, facendo ridere e sorridere. E così, in quest’apertura di cartellone, sono già tutte presenti le diverse declinazioni dell’umorismo e della comicità che, al variare della temperatura e della distanza dal suo bersaglio, si trasforma velocemente in satira o sarcasmo; ma in tutti questi casi, senza mai rinunciare alla funzione conoscitiva dell’oggetto di cui si ride, o del ridente. Il 49° Festival incederà così, nel solco dell’insegnamento di Paolo Grassi, mosso dal desiderio di mettere il pubblico d’oggi – che apparentemente resta, con Celletti, «sostanzialmente indifferente ai cataclismi fra i quali vive» – di fronte ai meccanismi sociali che finiscono per creare barriere alla conoscenza e alla consapevolezza del reale e della storia, attraverso il sorriso e l’ironia.