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Ieri al Teatro Petruzzelli di Bari è andata in scena la data di Musico Ambulante tour organizzata da Aurora Eventi del cantautore milanese Fabio Concato. Il ritorno in una città che lo ama e che lo segue dal lontano 1977 anno del suo esordio discografico con «Storie di sempre» e Fabio Concato emoziona e non si è risparmiato, concedendosi per oltre due ore di musica, accompagnato sul palco da una super band che lo ha accompagnato in giro per l’Italia per oltre venti date e sono Ornella D’Urbano agli arrangiamenti, piano e tastiere, Stefano Casali al basso, Larry Tomassini alle chitarre, e Gabriele Palazzi alla batteria ed il pubblico ha subito compreso di avere a che fare con un autore elegante, capace di grande autoironia, sempre attento alle tematiche ambientali, sociali e civili con le sue canzoni è entrato nella storia della musica italiana e hanno cristallizzato emozioni e versi entrati nell’immaginario collettivo.
In scena ci sono loro senza tanti fronzoli e Concato è uno dei pochi cantanti italiani che ha una stretta familiarità con il jazz: per questo ha proposto a Bari un concerto improntato su musica parola, tra il serio e il faceto, con la musica percorrendo quarant’anni di musica.
Stazione Nord è spettacolare: per altro, per la prima volta, si può immaginare, con una buona dose di realismo, il volto d’amore che finisce. Ci sono momenti che sembra di entrare in tableau vivant, con giochi di sguardi e promesse che se mantenute possono far durante la musica…una vita.
Fiore di Maggio è un momento di eleganza totale e Domenica Bestiale invece ricorda l’Italia legata alle tradizioni. Fabio Concato costruisce quadri che da soli sono un racconto e nei suoi brani si muove con naturalezza: il palco del Teatro Petruzzelli rende la vicinanza tra lui e il pubblico forte come un abbraccio. Il gioco di luci è fondamentale segno della valenza sociale di parecchie canzoni e dell’impegno civile e morale che vanno trasmessi (il momento più forte è con Tienimi dentro te. E poi via via Quanta nostalgia ha un tocco kubrickiano e Ballando con Chet Beker ci riporta per lo spirito in una decadente ma seducente atmosfera jazz anni ’50.
Sembra di essere con un vecchio amicoche non hai mai dimenticcato e la sua musica potrebbe rientrare a pieno titolo tra le migliori di un’Italia che ha dato spazio alla modernità in alcuni casi non proprio bella. Si chiude con un Rosalina e saluta e, da buon ultimo, come i veri capitani, lascia il palco vuoto…al centro.
Foto di Daria Russo (riproduzione riservata)