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«Il videogioco narra da sempre la guerra. Non solo. Una delle attività più diffuse, tra i bambini, è quella di “giocare alla guerra”, e, così come si può farlo con soldatini e spade di plastica, si può farlo, oggi, anche con i videogiochi. Il problema è come la racconta, perché, essendo un tema sensibile, ci sono tanti modi di farlo ed è necessaria una certa cautela».
Così, Marco Accordi Rickards, direttore della Fondazione Vigamus, tra i trenta esperti di storia, letteratura, filosofia, giochi e videogiochi giunti a Bari, lunedì 17 ottobre, da tutta Italia e dall’Europa, per “Videogames, Guerra e Alta Cultura”, un’iniziativa per discutere su come un tema complesso e delicato come la guerra possa essere raccontato tramite giochi e, in particolare, videogiochi.
È la quinta edizione del progetto “Videogames e Alta Cultura”, nato nel 2018 nel capoluogo pugliese, da un’idea di Fabio Belsanti, CEO di Age of Games, software house italiana con sede a Bari, in collaborazione con Apulia Film Commission, Mediateca Regionale Pugliese, Regione Puglia.
Una giornata intensa e ricca di contributi scientifici apportati da ospiti autorevoli tra cui Jos De Mul, docente dell’Erasmus School of Philosophy di Rotterdam; Nico Balletta, tra gli organizzatori del devcom/Gamescom di Colonia (il più grande evento fieristico del digital entertainment in Europa); Virgilio Ilari, presidente della Società Italiana di Storia Militare e firma di Limes (il più celebre periodico italiano dedicato a politica estera, economia e attualità internazionale).
«Una giornata per comprendere lo stretto rapporto tra giochi, videogiochi e guerra – spiega Fabio Belsanti – La guerra che è scoppiata ad est riporta al centro una vecchia forma di geopolitica che era già stata raccontata dai videogiochi. I videogiochi entrano nel campo di battaglia su vari livelli. Ormai lo strumento videoludico è talmente adulto e maturo da poter affermare senza alcun timore che il gioco precede la cultura, non è solo una sua parte. Credo fermamente che i giochi, in particolare l’antica essenza del “Ludus”, non debbano dimostrare più nulla alla Cultura o alla Storia. Sono la Cultura e la Storia che devono capire di essere parte di un misterioso gioco».
«Le correlazioni tra videogame, wargame, storia e guerra possono essere di vario tipo – evidenzia Massimiliano Italiano, ricercatore di storia contemporanea per la Società Italiana di Storia Militare –. Possono essere divulgative, se mirano ad illustrare la storia a scopo didattico o tecnico. Nelle sfaccettature più moderne il wargame è stato anche utilizzato a scopo psicologico, per individuare la connessione psicologica tra gioco e giocatore, o viceversa. Cioè per analizzare come il gioco influisca sulla psicologia del giocatore o come il giocatore, attraverso il suo comportamento durante il gioco, esprima le sue caratteristiche peculiari, il suo carattere, le sue tendenze politiche».
Del ruolo del gioco nel raccontare, a scopo educativo, la guerra ai ragazzi, parla Antonio Brusa, docente di Didattica della Storia all’Università di Bari e fondatore dell’associazione Historia Ludens: «Il gioco ti permette di entrare nella guerra. Ha la capacità di creare una bolla al cui interno ci sono mondi che non esistono nella realtà e che noi possiamo vivere. Quindi, invece di studiare dai libri ciò che l’umanità soffre vive in una guerra, puoi vivere quello stress. Il problema fondamentale è quando il gioco finisce, usciamo dalla bolla e torniamo nella nostra quotidianità. Se in quel momento siamo lasciati soli, sviluppiamo un percorso di formazione incontrollato, selvaggio. È qui che entra in gioco il ruolo dell’insegnante che, attraverso opportuni debriefing, facendoci ragionare su quel che abbiamo fatto, sull’avventura vissuta, ci spinga a opportune riflessioni che, a differenza di quanto letto in un libro, avranno il sapore del vissuto. Ed è questa la caratteristica del gioco».