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Confesso, prima di iniziare, che non sarò imparziale.
Di Zerocalcare/Michele Rech mi piace tutto, sono una sua fan sfegatata, ho visto i suoi film, leggo i suoi libri e le sue strisce.
Adoro che si occupi di temi scomodi e dimenticati, la sua timidezza e lo sforzo che gli si legge in faccia nell’affrontare il pubblico ed i giornalisti, le ore spese a fare disegnetti a dei “bambinoni” -tra cui la sottoscritta- bisognosi di avere un feticcio del loro idolo sul libro appena acquistato, e subito divorato, il suo mettersi a nudo, anche negli aspetti più delicati o dolorosi, l’auto-ironia, la sua faccia pulita e, persino, il suo look.
Alla presentazione di “No sleep till Shengal”, alla Feltrinelli di Bari, c’era una piacevole, considerevole folla, ancor più ragguardevole, ove si consideri che non brilliamo per numerosità di lettori.
Questo nuovo libro, potrebbe essere considerato un sequel, atteso che, riprende le tematiche di Kobane Calling.
Qualcosa è cambiato, però.
L’armadillo, noto accollo/alter-ego/coscienza è stato sostituito dalla testa “sotto-vetro” di Cartesio, ma i ruoli sembrerebbero invertiti.
Cartesio riporta il nostro protagonista al ragionamento sull’opportunità della missione, valutandone i rischi, ma anche la validità ideologica.
Oggi l’armadillo, spesso “addossato” alla schiena di Zerocalcare, sembrerebbe essersene impossessato, tanto da rendere necessario il suo esatto contro-altare.
Nel viaggio mancano gli amici, da sempre protezione, riferimento e Lady Cocca, la famiglia.
Zerocalcare parte con delle persone note, ma nessuno del suo stretto entourage.
Il protagonista è più grande e più solo.
Anche il viaggio è diverso.
Tornano le tematiche di chi ha vissuto gli orrori di una guerra, che arrivano, come dei pugni nello stomaco, su pagine a fondo nero in cui si descrivono le tragedie occorse. C’è, nell’aria di Shengal, una cappa di malessere.
C’è il tema di chi lotta con la vita per una democrazia partecipata, mentre noi, che al massimo possiamo strozzarci con il prosciutto, abbandoniamo sempre di più le urne, pensando che la democrazia sia uno status quo, che non ha bisogno di essere accudito, curato e cautelato.
C’è anche lo sforzo di guardare l’altra faccia della medaglia, ascoltando le ragioni degli “oppressori”.
Ciò che, tuttavia, porta Michele Rech ad un livello superiore è la sua leggiadria nel mescolare cotanta roba al quotidiano, al gioco, alla tenerezza, alla vita.
Non c’è mai, un briciolo di saccenza, un giudizio morale, ma solo la sana umiltà di capire e ragionare sulle cose del mondo.
L’uso del “disegnetto”, che in una sola immagine racchiude e sintetizza un insieme di concetti ed emozioni, nelle sue mani, lasciatemelo dire, è semplicemente geniale.
P.S. Adoro il mio Armadillo/Firma
Rossana Rignani