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«Il bagliore dell’acciaio si innesta dentro di me. Spasimo. Il cuore sussulta prima di spegnersi nel buio. Torna all’improvviso la luce. L’occhio destro mi fa molto male. Vedo la sagoma di mia mamma ricurva sul mio lato mancino, mentre mi accarezza la mano. Non sono nel letto di casa. Neon al soffitto, muri verdi e bianchi, tubi e cavi mi avvolgono e mi penetrano. Sento giungere la voce del Cinghia, per vederlo sono costretto a ruotare il capo di centottanta gradi, da sinistra a destra e da destra a sinistra, facendo attenzione a non comprimere il costato. Con la mano mi sfioro il viso, sento le bende, non vedo la mano. È l’11 settembre del 1986»: con queste parole si chiude l’introduzione all’opera “Il volto della vita” di Giorgio Gavina. È il protagonista Diego a raccontare dell’aggressione che cambia la sua esistenza per sempre: si trova a casa da solo, quando alcune persone irrompono nell’abitazione e lo pestano a sangue senza motivo; da quella traumatica esperienza ne esce privato dell’occhio destro e con una rabbia e una disperazione che lo travolgono e che cancellano tutto il buono che aveva nella vita. Quando lo incontriamo è trascorso un anno e del Diego che tutti conoscevano non è rimasto niente: si è isolato in un paesino di montagna lasciando Milano, ha preso peso e soprattutto ha abbandonato la musica, la sua passione più grande. Giorgio Gavina presenta un romanzo giallo appassionante e dai tanti colpi di scena, in cui dà molta importanza anche all’esplorazione del lato umano del suo protagonista; il lettore partecipa ai tentativi di Diego di risalire dal baratro in cui è caduto, perché arriva anche per lui il momento di ritrovare il coraggio di vivere e di non nascondersi dietro la sua menomazione. È una storia molto dura di inganni, tradimenti e di persone senza scrupoli, in una Milano di fine anni Ottanta che era dominata dalla corruzione e dal malaffare; allo stesso tempo si affronta anche il tema della famiglia, raccontando l’intenso legame di Diego con suo padre e delle implicazioni che ha l’incidente a lui capitato sul loro rapporto. Si narra anche di una storia d’amore, che riesce a far uscire il protagonista dal suo guscio, dandogli la forza di rinascere. Diego è pronto a perseguire il suo obiettivo: scoprire il mandante e gli esecutori della sua aggressione; sarà una strada lunga e tortuosa – «E come ogni volta che dipana una matassa, un’altra si ingarbuglia ancora di più».

Redazione

Lsd sta per Last smart day, ovvero ultimo giorno intelligente, ultima speranza di una fuga da una cultura ormai completamente omologata, massificata, banalizzata. Il riferimento all'acido lisergico del nostro padre spirituale, Albert Hofmann, non è casuale, anzi tutto parte di lì perché LSDmagazine si propone come cura culturale per menti deviate dalla televisione e dalla pubblicità. Nel concreto il quotidiano diretto da Michele Traversa si offre anzitutto come enorme contenitore dell'espressività di chiunque voglia far sentire la propria opinione o menzionare fatti e notizie al di fuori dei canonici mezzi di comunicazione. Lsd pone la sua attenzione su ciò che solletica l'interesse dei suoi scrittori, indipendente dal fatto che quanto scritto sia popolare o meno, perciò riflette un sentire libero e sincero, assolutamente non vincolato e mosso dalla sola curiosità (o passione) dei suoi collaboratori. In conseguenza di ciò, hanno spazio molteplici interviste condotte a personaggi di sicuro spessore ma che non trovano spazio nei salotti televisivi, recensioni di gruppi musicali, dischi e libri non riconosciuti come best sellers, cronache e resoconti di sport minori, fatti ed iniziative locali che solitamente non hanno il risalto che meritano. Ma Lsd è anche fuga dal quotidiano, i vari resoconti dai luoghi più suggestivi del pianeta rendono il nostro magazine punto di riferimento per odeporici lettori.