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Paradossale, malinconico, kafkiano e allegorico. The House è quasi una perla nascosta nell’immensità di un catalogo dispersivo come quello di Netflix. Annunciato nel 2020 il film è stato realizzato interamente in Stop-Motion, valorizzando una tecnica che ha consacrato tra le pagine più memorabili della cinematografia degli ultimi anni capolavori come Nightmare Before Christmas, le epopee di Wallace&Gromit e il noto Coraline, tratto dal capolavoro noir per ragazzi di Neil Gaiman. The House è una cupa antologia cinematografica composta da tre racconti distinti per trama e interpreti (oltre che per le regie, affidate a Emma de Swaef, Marc James Roels, Niki Lindroth von Bahr, Paloma Baeza) ma accomunati da un cardine di riferimento: The House, “la casa”, intesa come focolare domestico, abitazione, ambientazione ed esemplificazione emblematica di sensazioni, scelte e azioni dei protagonisti, sempre comprimari rispetto a quella misteriosa, tenebrosa e imponente magione, scissa fra desideri passati, ambizioni presenti e aspettative e ricordi nel futuro.
“E dentro di me, si tessero menzogne“
Il primo racconto ci proietta nelle campagne inglesi dell’Ottocento tra bambole di pezza antropomorfe, dove una famiglia vive in condizioni di enorme povertà poiché lo squilibrio fra città e campagne si è evoluto di pari passo con le rivoluzioni industriali. Dopo aver subito per anni le angherie di parenti più ricchi, il capofamiglia e papà di Mabel e Isabel (le due giovani protagoniste del racconto) viene sedotto da un misterioso benefattore durante una sortita notturna nel bosco, che attraverso il servilismo e la gentilezza del suo messo, Mr. Thomas, si incaricherà di costruire un’abitazione imponente alla famiglia, in cambio dell’umile dimora in cui abitavano.
Sembrerebbe una scelta semplice e un trasferimento benevolo, ma fin dalle prime esplorazioni notturne della casa da parte della piccola Mabel e sua sorella, tra giochi di luci e ombre e operai taciturni confinati tra anguste scalinate e strettoie che portano a camere vuote e misteriose, lo spettatore si rende conto che la discesa nel baratro della famiglia è lenta ma inesorabile. Saranno proprio le due bambine ad avere in mano la chiave per scoprire i reali segreti dell’abitazione e del suo costruttore, un uomo che, come afferma a più riprese Mr. Thomas, “Non ama aspettare ed è molto impaziente”.
Un episodio che racconta il materialismo come mero attaccamento a oggetti e possedimenti e che ,senza un reale lieto fine, riesce a veicolare il messaggio in modo dirompente e sofisticato.
“È smarrita la verità che non si può vincere“
Nel secondo episodio ci troviamo in un presente animato dall’uso delle tecnologie, dei cellulari e delle avanguardie nel campo di elettrodomestici e telecomunicazioni. Le stesse di cui si vanterà di aver riempito la sua lussuosa, ma decadente, casa il protagonista della vicenda: un topo antropomorfo e logorroico. Apprendiamo dalle numerose sollecitazioni ben in vista ,avute tramite posta e messaggi, che il topo ha guai finanziari e che la vendita della sua abitazione (la stessa casa del primo episodio) sembra l’unica risorsa per estinguere i gravosi debiti. Rimessa a nuovo il topo si improvviserà agente immobiliare, provando a venderla a qualche esponente facoltoso della società, in visita per un tour. Quando le sue illusioni sembreranno materializzare l’ennesimo fallimento una coppia di ratti, trasandati e stravaganti, mostrerà interesse per l’abitazione, tale da insistere per dormire lì quella notte, promettendo di pagare al più presto. Sarà l’inizio di una lenta discesa nel baratro della follia e del grottesco. Tra le travi dell’abitazione si materializzano insetti e scarafaggi, ma i veri parassiti del racconto sembrano annidarsi nelle sfumature psicologiche e comportamentali dei protagonisti. Il secondo episodio è sicuramente il più drammatico, peculiare e torbido dei tre che costituiscono l’antologia, raccontando delle illusioni perdute di un presente di drammi irrisolti.
“Ascolta bene e cerca la luce del sole“
Il terzo capitolo ci proietta in un futuro post-apocalittico, dove La Casa è l’ultima struttura rimasta in piedi dopo un’impetuosa alluvione. Al suo interno vivono tre felini antropomorfi: Rosa, l’affittuaria, e i suoi unici coinquilini, il pescatore Elias e la sensitiva Jen. Entrambi bizzarri, non assecondano la maniacale cura per la casa che ha Rosa, la quale, nonostante le difficoltà del mondo che la circonda, sembra avere l’unica reale ambizione di ristrutturare la casa e renderla adatta e confortevole per gli inquilini del futuro (ammesso che altri siano sopravvissuti al disastro). Elias e Jen non pagano l’affitto ma procurano a Rosa il cibo e un pò di compagnia. A spezzare l’equilibrio l’arrivo di Cosmos, un felino che ha vissuto anni in Tibet, vive un costante ritiro spirituale in terra e crede nella cristalloterapia. Cosmos si offre di aiutare Rosa, ma quando il livello delle acque comincerà ad innalzarsi un dilemma attanaglierà quest’ultima: partire o restare? Lasciare andare il passato o vivere il futuro in relazione a ricordi e illusioni?
Un finale malinconico aiuterà lo spettatore ad avere una risposta.
The House racconta allo spettatore la vacuità del materialismo, l’eccesso del consumismo e la perdita di spiritualità della società. Il film guarda al futuro con esiti drammatici, con l’alluvione specchio di una società in cui i drammi ambientali sono elaborati su due rami difformi ma eguali negli esiti passivi: slogan e rumore o puro negazionismo. Esplorando le pieghe dell’animo umano attraverso personaggi bizzarri e grotteschi, animali antropomorfi e bambole di pezza il film si offre agli spettatori suscitando malinconia e stupore attraverso una funzione quasi catartica e di pirandelliana memoria.
In un catalogo in cui le classifiche sono dominate da “teen drama”, commedie squallide e serie che sembrano l’una la banale prosecuzione del vuoto delle precedenti, The House è un titolo che merita non solo molta attenzione, ma numerose e meritate lodi.
Alarico Lazzaro