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Nicola Piovani è tornato stamattina sul palco del Teatro Petruzzelli dopo avere ricevuto ieri sera, dalle mani dal Maestro Rino Marrone, il Premio Ennio Morricone per il Miglior Compositore con la colonna sonora di “I fratelli De Filippo”, unitamente allo stesso premio che non poté ritirare nell’edizione del Bif&st 2020 e che gli era stato assegnato per le colonne sonore di “Il traditore” di Marco Bellocchio e “Hammamet” di Gianni Amelio.
L’incontro con il compositore Premio Oscar moderato da Marco Spagnoli è avvenuto proprio al termine della proiezione del film che gli ha meritato il riconoscimento: “Un film che ha avuto una storia produttiva molto travagliata e per la cui colonna sonora, d’accordo con Rubini, volli fare ‘all’antica italiana’, in contrapposizione con quella modalità oggi dominante per la serialità e che io chiamo la ‘Netflix Art’, in cui il linguaggio musicale sente il peso della cultura degli spot pubblicitari”.
Una carriera, quella di Nicola Piovani, che conta decine di colonne sonore per film diretti da grandi registi, oltre all’attività di pianista, di direttore d’orchestra, arrangiatore e autore di musiche per il teatro e di musica da concerto. “Ho lavorato con tanti registi diversi” – ha raccontato – “e per ognuno di loro sono dovuto entrare nelle singole poetiche. Quello che poteva andare bene per un film di Mario Monicelli non poteva andare bene per un film di Marco Bellocchio. In proposito, mi piace ricordare di quando mi furono affidate le colonne sonore, pressoché in contemporanea, di Good Morning Babilonia dei Taviani e di Intervista di Federico Fellini. I due film avevano diverse cose in comune, eppure dovetti fare un lavoro schizofrenico, fu un grande sforzo”.
Sui suoi inizi da musicista ha ricordato come da una prima fisarmonica che gli fu regalata passò al pianoforte. “Poi, a 16 anni, fui folgorato dalla visione di Il settimo sigillo di Bergman, non sapevo che il cinema potesse essere anche arte oltre che intrattenimento. Quel giorno capii che avrei voluto fare musica per quel tipo di film“.
“Ero un predestinato? Non lo so, dipende dal rapporto che ciascuno di noi ha con il destino, lo si può chiamare in molti modi, anche volgari. Diciamo che a me ha detto bene. Da un certo punto della carriera, poi, ho potuto anche cominciare a concedermi il lusso di rifiutare film o registi che non avevano nulla a spartire con me.”
“Un altro privilegio che comporta la notorietà è quella di poter fare anche cose diverse. Trovandomi su questo palco mi viene in mente di quando musicai Padre Cicogna, un poemetto scritto da Eduardo de Filippo che eseguii proprio qui al Petruzzelli con la voce narrante di Luca De Filippo. Il teatro era pieno ma non sono sicuro che lo sarebbe stato altrettanto se il pubblico non mi avesse conosciuto per le colonne sonore. Io devo tutto alla musica per il cinema. E ora posso anche permettermi di dedicami un po’ di più a quello che ho trascurato negli ultimi anni, la composizione di musica sinfonica e da camera”.
Ha un modello di come si fa la musica per film? “Il modello è quello per cui devi scrivere qualcosa che potenzi l’anima del film. In questo senso è esemplare il lavoro che Nino Rota ha fatto per Fellini, in Le notti di Cabiria o 8 ½ , che senza le sue musiche non sarebbero stati i film che sono. Una volta, tornando a lavorare a Cinecittà dopo un pranzo con Fellini lui mi disse ‘Andiamo a mettere un po’ di vento a un film che ha ancora i piedi di piombo!’’.
Sull’Oscar ricevuto nel 1999 per La vita è bella di Roberto Benigni, Piovani ha raccontato: “Ne parlo in pubblico per la prima volta. All’annuncio delle nomination, un grande settimanale italiano volle assegnare delle percentuali di possibilità di vittoria per ognuna delle sette candidature. Per quella alla colonna sonora, scrissero che la percentuale era pari a zero. La motivazione era che noi compositori italiani siamo troppo tecnicamente lontani da quelli americani. Ecco, più che la percentuale fu il commento a colpirmi. Era un classico esempio del provincialismo esterofilo”.
“Resta il fatto” – ha continuato – “che la scuola americana parte da grandi mezzi e noi dalla povertà. Ricordo che quando dovevamo registrare le musiche di La notte di San Lorenzo dei Taviani volevamo farlo in un grande studio romano che però era stato prenotato per un mese dalla produzione di Conan il barbaro di John Milius. Accadde poi che si creò un buco di due giorni e noi, in quei soli due giorni, riuscimmo a registrare tutta la musica del film!”.